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Vi propongo un testo di Erich Fromm inedito credo in italiano pubblicato, con un articolo di presentazione di Kevin Anderson, sulla rivista Science & Society, Vol. 66, No. 2, estate 2002. Segnalo su questo blog anche Erich Fromm e l’archeologia del reddito garantito. Buona lettura!
Il seguente breve testo del noto psicologo e umanista socialista Erich Fromm (1900-1980) non è mai stato pubblicato in nessuna lingua.
Oltre al dattiloscritto in inglese della recensione, è stata trovata anche una traduzione in spagnolo, il che suggerisce un possibile tentativo di Fromm di pubblicarla in Messico, dove risiedeva principalmente negli anni Cinquanta (Funk, 2000).
Il tono, lo stile e la forma della recensione indicano che molto probabilmente è stata scritta per una rivista americana non accademica, forse il settimanale di massa Saturday Review, sulle cui pagine Fromm pubblicò articoli nel 1957 e nel 1958.
Il tono combattivo della recensione, in cui Fromm difende strenuamente non solo Trotsky, ma anche Marx, Engels e Lenin, è un po’ sorprendente, dato il trattamento più ambivalente che egli stesso aveva riservato a Marx e Lenin qualche anno prima in The Sane Society (1955). Meno sorprendente, alla luce di quanto detto sopra, è il fatto che non sia mai stato pubblicato in una rivista americana di massa, come Fromm sembra aver voluto.
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Vi ripropongo un articolo di Giorgio Nebbia del 1991 in cui ricordava gli albori del movimento ecologista italiano, i pregiudizi ideologici dei gruppi post-sessantotto, la capacità del Pci di cogliere l’importanza della questione con un convegno organizzato dall’Istituto Gramsci nel 1971.
Sembra incredibile che solo venti anni fa l’ecologia fosse in Italia una scienza praticamente sconosciuta. Anzi, le prime timide idee che penetravano nel nostro paese venivano bollate come «la scienza delle contesse», estranee alla cultura rigidamente marxista del movimento operaio. Eppure proprio in quel periodo, gli inizi degli anni settanta, gli operai iniziavano le prime vere battaglie «ecologiche» per difendere la salute di chi abitava attorno alla fabbrica. Ci fu però un caso di lungimiranza: il Pci organizzò nel 1971 un seminario a Frattocchie, relatore Giovanni Berlinguer…
Continue reading Giorgio Nebbia: L’ecologia di «classe» (1991)
Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, una potente ondata di antisemitismo investì tutta l’Europa, dalla Russia zarista alla Francia repubblicana. Il tradizionale antigiudaismo religioso si unì qui a nuove manifestazioni più “moderne”, basate su argomenti razziali, “sociali” o nazionalisti. Assunse forme diverse: pogrom, rivolte popolari, discorsi e pubblicazioni antisemite, emarginazione legale da territori o professioni, processi antisemiti. Non risparmiò l’Impero austro-ungarico e la sua provincia ceca, dove l’antisemitismo era diffuso sia tra la maggioranza ceca che nella minoranza di lingua tedesca. Come reagì Franz Kafka, ebreo ceco di cultura tedesca, all’antisemitismo?
Il rapporto di Kafka con l’ebraismo era altamente ambiguo, un’ambiguità riassunta nel famoso commento del 1918 nei suoi quaderni in ottavo: “Io… non ho afferrato l’orlo del mantello da preghiera ebraico – che ora vola via da noi – come hanno fatto i sionisti”. [1] Con uno spirito simile, in una lettera a Grete Bloch datata 11 giugno 1914, si descrive come una persona asociale, esclusa dalla comunità a causa del suo “ebraismo non sionista e non praticante (ammiro il sionismo e ne sono nauseato)”. [2] Un’altra affermazione ben nota sembra ancora più negativa: “Cosa ho in comune con gli ebrei? Non ho quasi niente in comune con me stesso, e dovrei restare tranquillamente in un angolo, felice di poter respirare”. [3]
Continue reading Michael Löwy: Franz Kafka e l’antisemitismo
La speculazione non è la causa della nostra grande stagnazione: è il modo in cui il sistema cerca di superarla. Lo sostiene sull’ultimo numero di Jacobin magazine Aaron Benanav, professore associato di sociologia alla Syracuse University e autore di Automation and the Future of Work, libro in Italia edito dalla Luiss. Buona lettura!
Wall Street sussulta a ogni cambio di politica economica. Il capitale di rischio entra ed esce dall’intelligenza artificiale, dalla tecnologia della longevità, da Tesla – da qualsiasi cosa sembri la prossima grande novità. Le notizie finanziarie sembrano una giostra ad alta velocità: grafici, crolli, rimonte, token, bolle. Tutto sembra accadere contemporaneamente.
Eppure la maggior parte delle persone ha la sensazione che nulla nella propria vita si muova. Gli stipendi non si sono praticamente mossi da anni. Gli alloggi sono inaccessibili. Le infrastrutture stanno crollando. Il lavoro offre meno sicurezza, meno benefit, più ansia. Nonostante tutto il movimento ai vertici dell’economia, la vita quotidiana sembra bloccata. Questo senso di stallo non è un’illusione. Riflette qualcosa di reale: l’economia è stagnante. Nonostante tutto questo fermento, la crescita rimane lenta. Nuove industrie sono più difficili da trovare e il tenore di vita aumenta a passo di lumaca. L’economia fatica a creare buoni posti di lavoro, redditi in aumento e opportunità significative.
Continue reading Aaron Benanav: Speculazione nell’era della non crescita
Peter Thiel e i suoi amici sentono di non appartenere più alla nostra specie. Un articolo da The Nation
Tra i reazionari plutocratici, Peter Thiel, che ha fatto fortuna come cofondatore di PayPal, è un trendsetter. Nel 2016, persino i miliardari ostili al liberalismo e che condividevano le opinioni di Thiel sulla necessità di ridurre radicalmente il peso del governo per dare potere alle grandi imprese erano titubanti nel sostenere Donald Trump, vedendo il populismo del candidato come una minaccia all’ordine costituito. Lo stesso Thiel sapeva che scommettere su Trump era un azzardo, ma era una scommessa che riteneva non solo saggia, ma necessaria. Per molti anni, come chiarisce in una lunga intervista con Ross Douthat sul New York Times pubblicata giovedì scorso, Thiel temeva che la civiltà occidentale fosse entrata in un periodo di stagnazione a lungo termine negli anni ’70, che sarebbe continuato a meno di un radicale cambiamento. Questa stagnazione ha molte dimensioni: una minore crescita economica, un minor numero di scoperte scientifiche che avrebbero cambiato il mondo e un generale malessere culturale. Continue reading Jeet Heer: I miliardari stanno abbandonando l’umanità.
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