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 Roma, 26 marzo 2022
La riduzione dell’escalation e la negoziazione rimangono l’unica via d’uscita a questa crisi. Lo sostiene Katrina vanden Heuvel nell’editoriale che apre l’ultimo numero di The Nation, la più antica rivista progressista statunitense. Al contrario di tanti commentatori italiani che hanno accusato noi pacifisti di essere filo-Putin per aver menzionato le responsabilità della NATO e aver detto no all’espansionismo a est una rivista che ha sostenuto la campagna di Biden (dopo aver tifato Sanders alle primarie) assume una posizione critica simile alla nostra.
La guerra è una tragedia, un crimine e una sconfitta. The Nation condanna la decisione del presidente russo Vladimir Putin di abbandonare la via della diplomazia attaccando brutalmente e invadendo l’Ucraina, una palese violazione del diritto internazionale.
Esortiamo la Russia ad accettare un cessate il fuoco immediato e tutte le parti a cercare una soluzione diplomatica per scongiurare il rischio di un impensabile conflitto diretto tra le due maggiori potenze nucleari del mondo, un pericolo aggravato dalla mossa di Putin di mettere in allerta le forze nucleari russe.
The Nation ha costantemente chiesto una soluzione diplomatica alla crisi in Ucraina che rispetti il diritto internazionale e i confini internazionali. Sebbene le azioni di Putin siano indifendibili, la responsabilità di questo conflitto è ampiamente condivisa. Questa rivista ha ripetutamente avvertito che estendere la NATO ai confini della Russia produrrebbe inevitabilmente una reazione pericolosa. Abbiamo criticato il totale rifiuto della NATO delle proposte di sicurezza della Russia.
Per quanto impopolare possa essere sottolinearlo, l’espansione della NATO ha fornito il contesto per questa crisi, una storia troppo spesso ignorata dai nostri media. Offrire una futura adesione alla NATO all’Ucraina, quando i successivi presidenti degli Stati Uniti e i nostri alleati della NATO hanno dimostrato di non avere la minima intenzione di combattere per difendere il paese, è stato profondamente irresponsabile. Invece, la richiesta di Putin che l’Ucraina rimanesse fuori dalla NATO – essenzialmente che lo status quo fosse codificato – è stata disprezzata in quanto violava il “principio” della NATO di ammettere chiunque volesse.
Un risultato è stato quello di incoraggiare l’irresponsabilità parallela da parte dell’Ucraina. Nel 2019, Volodymyr Zelensky ha promesso agli elettori che avrebbe posto fine alla guerra nel Donbas. Al momento del suo insediamento, tuttavia, il suo governo ha rifiutato di attuare le disposizioni essenziali dei Protocolli di Minsk del 2015 (firmati da Russia, Ucraina, leader separatisti sostenuti dalla Russia e OSCE) che avrebbero garantito la sovranità e l’integrità territoriale all’Ucraina in cambio della sua neutralità: uno status simile a quello di Austria, Norvegia e Finlandia.
Purtroppo, le azioni illegali della Russia non faranno altro che incoraggiare i falchi e i mercanti di armamenti. Gli strateghi da poltrona occidentali chiedono ulteriori aumenti del già gonfio budget militare statunitense, spingendo gli europei a rafforzare le loro forze e cogliendo l’occasione per dissanguare Putin in Ucraina. L’oscenità morale di considerare la perdita di vite ucraine e russe come una “opportunità strategica” dovrebbe essere ovvia.
Perché tra i tamburi di guerra, non dobbiamo perdere di vista l’orrore umano che seguirà: dalla guerra, allo sfollamento massiccio e all’impatto delle sanzioni.
Gli ucraini stanno già soffrendo. Anche se la Russia avesse successo militarmente, un’occupazione prolungata potrebbe innescare una guerriglia molto più costosa della debacle sovietica in Afghanistan. Nel frattempo, le sanzioni “punitive” finora imposte danneggeranno non solo la Russia – oligarchi e cittadini comuni allo stesso modo – ma anche l’Europa, gli Stati Uniti e gli astanti dell’economia globale. I prezzi del petrolio, che stanno già superando i 100 dollari al barile, ne sono un presagio. Una nuova Guerra Fredda danneggerà i bilanci nazionali qui e in Europa e intaccherà le risorse e l’attenzione necessarie per affrontare le pandemie, la crisi climatica, l’instabilità nucleare e la debilitante disuguaglianza.
Ciò che serve ora non è una corsa alle armi o una spavalderia da falco, ma un ritorno a trattative intense e un riconoscimento dei fatti della geografia e della storia. Gli ucraini hanno dimostrato al di là di ogni dubbio di essere davvero una nazione. Ma che il loro destino sia legato al loro potente vicino, che nel futuro dell’Ucraina avrà sempre molto più in gioco degli Stati Uniti, resta vero.
Mentre andiamo in stampa, l’Ucraina e la Russia continuano i colloqui. Il lavoro già svolto dalle Nazioni Unite, dall’OSCE e dai firmatari dei Protocolli di Minsk offre opzioni che, se perseguite in buona fede, possono portare la crisi a una conclusione pacifica. Siamo stati anche incoraggiati dalla coraggiosa posizione a favore della pace all’interno della società civile russa.
Sebbene la situazione sia estremamente pericolosa, riteniamo che la crisi possa ancora essere risolta con il ritiro delle forze russe dall’Ucraina, incluso il Donbas, insieme a una dichiarazione di neutralità ucraina. Crediamo inoltre che il modo migliore per aiutare i paesi lontani dalla linea di battaglia sia accogliere e sostenere i rifugiati dai combattimenti.
Esortiamo il presidente Biden e la sua amministrazione a incoraggiare gli ultimi colloqui e, se necessario, a contribuire a facilitare il duro ma necessario lavoro della diplomazia.
 Roma, 26 marzo 2022
Sabato 26 marzo ho scritto questa lettera durante il viaggio in pullman verso la manifestazione nazionale contro la guerra. L’ho inviata al direttore del Corriere della Sera in risposta all’articolo di Antonio Polito intitolato Quelli che non scelgono. Non è stata pubblicata quindi la socializzo in rete. (M.A.)
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Ringrazio il Corriere della Sera per l’attenzione che ci dedica. Oggi manifestiamo a Roma con lo striscione “FERMARE LA GUERRA. Né con Putin né con la NATOâ€.
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Non è vero però che noi non scegliamo, come sostiene Antonio Polito.
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La nostra scelta è quella della pace e del no alla guerra, del rifiuto dell’imperialismo occidentale e del nazionalismo russo o ucraino, delle politiche di potenza che usano i popoli come pedine, delle nostalgie zariste di Putin come dell’espansionismo NATO, delle aggressioni militari chiunque ne sia responsabile.
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Siamo contro Putin e contro la NATO.
Continue reading Noi scegliamo la pace. Risposta a Antonio Polito
 Questa potrebbe essere tua figlia. Propaganda anticomunista a sfondo razzista (USA anni ’50 -’60)
di Salvatore Engel -Di Mauro, State University of New York SUNY New Platz
Articolo pubblicato sulla rivista Capitalism Nature Socialism, n. 32, 2021
La produzione capitalistica, se si considera in particolare e se si astrae dal processo della circolazione e dagli eccessi della concorrenza, è estremamente parsimoniosa di lavoro materializzato, oggettivato in merci. Essa è invece, molto più di ogni altro modo di produzione, una dilapidatrice di uomini, di lavoro vivente, una dilapidatrice non solo di carne e di sangue ma pure di nervi e di cervelli. In realtà , è per mezzo del più mostruoso sacrificio dello sviluppo degli individui che soprattutto si assicura e realizza lo sviluppo dell’umanità in quest’epoca storica che immediatamente precede la cosciente ricostituzione dell’umana società .
Karl Marx
Una petulante impennata dell’anticomunismo sta permeando gli Stati Uniti (USA) e il Canada, così come i paesi dell’Unione Europea (UE). Il suo principale manganello è l’affermazione allo stesso tempo fittizia e calunniosa che il comunismo ha causato 100 milioni di vittime, uno slogan di sicuro effetto reso sensazionale attraverso un volume di propaganda del 1997 intitolato Il libro nero del Comunismo (Black Book of Communism d’ora in poi BBC). Si adatta a una più recente campagna contro la Cina, in cui il Partito Comunista Cinese è volutamente confuso con il comunismo. Questa recente reazione istintiva può in parte riflettere le apprensioni della classe dominante per la crescente popolarità delle idee genuinamente socialiste. In questo potrebbe esserci un segnale positivo.  Purtroppo, anche alcuni che si autoidentificano come socialisti cascano nella solita persecuzione per simpatie comuniste (red baiting nel testo) negando strenuamente ogni somiglianza di famiglia con il comunismo. O, peggio, abbracciano e diffondono essi stessi la retorica anticomunista.
Questi attacchi di destra e di sinistra al comunismo alimentano un ritorno all’anticomunismo nelle strutture legali delle democrazie liberali e minacciano le prospettive politiche e la sicurezza personale dei socialisti di ogni tipo. L’anticomunismo dovrebbe essere inaccettabile e contestato con la stessa forza dell’ignorante equazione tra anarchismo, caos e terrorismo.
Per evitare fraintendimenti, la posizione assunta qui è che il socialismo di stato deve essere rigorosamente criticato. Potrebbe anche essere rifiutato del tutto, a condizione che vengano messe in atto alternative pratiche e non solo se ne parli. L’anticomunismo invece non fa altro che rafforzare l’ideologia capitalista e ostacola il progresso di qualsiasi progetto o politica socialista. In secondo luogo, non è in questione la democrazia, ma la democrazia liberale, una delle manifestazioni politiche del capitalismo. Continue reading L’anticomunismo e centinaia di milioni di vittime del capitalismo
Nel trentesimo anniversario della fine dell’URSS vi ripropongo la traduzione del discorso che lo storico Stephen F. Cohen tenne alla conferenza Internazionale “The USSR 1989 – 1991: Historical Experience and Lessons for the Future” alla fondazione Gorbachev il 10-11 November 2011. Cohen, scomparso l’anno scorso, è stato uno dei più importanti storici dell’Unione Sovietica ma solo la sua ormai classica biografia di Bucharin è stata pubblicata in Italia nel lontano 1978. Non è il solo storico anglosassone ignorato dalla nostra editoria che pare preferire gli anticomunisti più truculenti. Cohen negli Stati Uniti era un’autorità riconosciuta e un protagonista del dibattito politico (si schierò contro la nuova guerra fredda e più in generale è stato una voce controcorrente su Ucraina e in generale politica di USA e NATO) e in Russia godeva di enorme stima.
È stato chiamato il “Vopros Veka”. E certamente sarà discusso da politici, studiosi e altri intellettuali per almeno altri 100 anni.
Ma è importante cercare di trovare una spiegazione razionale ora perché spiegazioni false e mitiche del motivo per cui l’Unione Sovietica è finita vengono utilizzate per cattivi scopi politici in molti paesi, tra cui Russia e America.
Per rispondere alla domanda da solo, oltre alla mia ricerca, ho letto ogni spiegazione che ho trovato in inglese e in russo, in dozzine di libri e articoli.
Avendo pubblicato le mie ricerche e le mie analisi nel mio libro VOPROS VOPROSOV, le riassumerò solo molto brevemente oggi.
Devo iniziare con due problemi che ho trovato nella letteratura esplicativa:
— Primo, la domanda è spesso formulata male. Ad esempio, molti autori si chiedono perché l’Unione Sovietica sia “crollata”, sottintendendo che le cause erano inerenti al sistema. Ma l’Unione Sovietica non è “crollata” nel dicembre 1991. Altri autori affermano che il sistema sovietico era “irriformabile”, ma in realtà è stato riformato almeno tre volte nella sua storia. Negli anni ’20, sotto la NEP. Negli anni ’50 e all’inizio degli anni ’60 sotto Krusciov. E ancora, fondamentalmente, sotto Gorbaciov dal 1985 al 1991,
— Il secondo problema è che mentre quasi tutti gli autori sono completamente certi della propria spiegazione della fine dell’Unione Sovietica, non c’è accordo tra questi autori. Invece, ci sono non meno di nove o dieci diverse spiegazioni.
— Alcune di queste spiegazioni sono semplicemente incoerenti o sciocche/ quindi mi concentrerà solo su sette, tutte diffuse e influenti. Continue reading Stephen F. Cohen. Perché l’Unione Sovietica è finita?
L’esercito degli Stati Uniti è famoso per essere il più grande consumatore di prodotti petroliferi al mondo e il più grande emettitore di gas serra. Le sue emissioni di carbonio superano quelle rilasciate da “più di 100 paesi messi insieme”. Ora, con il mandato dell’amministrazione Biden di ridurre le emissioni di carbonio “almeno della metà entro la fine del decennio”, il Pentagono si è impegnato a utilizzare veicoli completamente elettrici e a passare ai biocarburanti per tutti i suoi camion, navi e aerei. Ma affrontare solo le emissioni è sufficiente per mitigare l’attuale crisi climatica? Ciò che non figura nel calcolo climatico del nuovo piano di dimezzamento delle emissioni è che il Pentagono può ancora continuare a distruggere i sistemi naturali della Terra che aiutano a sequestrare il carbonio e a generare ossigeno. Ad esempio, il piano ignora il ruolo continuo del Pentagono nell’annientamento delle balene, nonostante il ruolo miracoloso che i grandi cetacei hanno svolto nel ritardare la catastrofe climatica e nel “mantenere sani gli ecosistemi marini”, secondo un rapporto di Whale and Dolphin Conservation. Questo fatto è passato inosservato fino a poco tempo fa. Ci sono innumerevoli modi in cui il Pentagono ostacola le capacità intrinseche della Terra di rigenerarsi. Eppure, è stata la decimazione delle popolazioni di balene e delfini nell’ultimo decennio, a causa delle pratiche militari a spettro completo svolte durante tutto l’anno negli oceani, che ci ha portato rapidamente verso un punto di svolta ambientale catastrofico. L’altro pericolo imminente che devono affrontare balene e delfini deriva dall’installazione di infrastrutture per la guerra spaziale, che è attualmente in corso. Questa nuova infrastruttura comprende lo sviluppo del cosiddetto “oceano intelligente”, piattaforme di lancio di razzi, stazioni di rilevamento missilistici e altri componenti della battaglia satellitare. Se i miliardi di dollari investiti nel budget della difesa del 2022 per la tecnologia della guerra spaziale sono un’indicazione di ciò che è in serbo, la distruzione della vita marina causata dall’uso di queste tecnologie accelererà solo in futuro, portando le creature della Terra a un livello uniforme di morte più rapida di quanto già previsto. Continue reading Le balene salveranno il clima del mondo, a meno che l’esercito non le distrugga
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