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Jeremy Bellamy Foster: il Fronte Popolare e la Montly Review

Mi è arrivata oggi una mail dalla Montly Review per la campagna di abbonamenti e donazioni. Ne ho tradotto una parte perchè presenta un’interessante ricostruzione storica e anche una succinta analisi di fase. Buona lettura!

La Monthly Review è emersa settantacinque anni fa dall’ambiente del Fronte Popolare degli anni della Grande Depressione e della Seconda Guerra Mondiale, che da allora ha costituito una parte fondamentale della nostra identità. L’importanza storica di questo aspetto è forse meglio colta da Gerald Horne, autore di una serie di libri di riferimento della Monthly Review Press, tra cui Jazz and Justice (2019), che ha scritto:

Il Fronte Popolare [fu] un movimento internazionale che esercitò una potente influenza sulla cultura statunitense negli anni Trenta e Quaranta. Iniziato durante la Grande Depressione e spesso guidato dal Partito Comunista degli Stati Uniti, il Fronte Popolare raggruppava sotto un unico ombrello le forze radicali e liberali animate dall’antifascismo. Basato su ampie campagne di organizzazione del lavoro, lottò contro il Jim Crow nel Sud, condusse campagne di solidarietà per cause internazionali come la Spagna repubblicana e diede un sostegno di base ai programmi del New Deal. All’apice della sua forza, il Fronte Popolare diede vita a una tendenza che non superò la fine della Seconda Guerra Mondiale: Comunisti, liberali e persino alcuni centristi che agivano di concerto, soprattutto su basi antifasciste, pro-lavoro e antirazziste (Criterion, 21 aprile 2022).

La scomparsa del Fronte Popolare come movimento rilevante negli Stati Uniti può essere ricondotta alla sconfitta politica dell’ex vicepresidente degli Stati Uniti Henry A. Wallace, candidato del Partito Progressista alle elezioni presidenziali del 1948. Continue reading Jeremy Bellamy Foster: il Fronte Popolare e la Montly Review

Fredric Jameson: Nient’altro che una merce. Su Lukacs

Nothing but a commodity è il titolo della recensione di Fredric Jameson del libro di Georg Lukács, A Defence of History and Class Consciousness: Tailism and the Dialectic, pubblicata su Radical Philosophy n. 110 del nov.dic, 2001. Il libro è stato meritoriamente pubblicato in Italia dalle edizioni Alegre con il titolo Coscienza di classe e storia. Codismo e dialettica. Pubblico questa traduzione come omaggio alla memoria dell’autore de “Il postmoderno o la logica culturale del tardo capitalismo” scomparso ieri. 

 

Immagino che per i marxisti occidentali (come me) Storia e coscienza di classe abbia significato un’analisi ideologica piuttosto che quelli che Lukács chiamava ‘problemi organizzativi’. In altre parole, questo libro avrà rappresentato una svolta nello studio delle ‘antinomie della coscienza borghese’ (sottotitolo di uno dei suoi capitoli più famosi) piuttosto che quelle argomentazioni organizzate intorno a una coscienza ‘imputata’ al proletariato senza alcuna prova empirica. Da questa prospettiva, quindi, Lukács viene letto come il filosofo di un marxismo prodotto sottraendo il leninismo proprio a quel marxismo-leninismo che ne ha reso possibile la produzione in prima battuta.

Ma non è forse tutto positivo? E l’attuale consenso non è forse basato sulla sensazione che, a prescindere dallo status del marxismo stesso – vivo o morto – è il leninismo a essere storicamente morto per sempre: come testimonia la moltitudine di revival anarchici che si moltiplicano per riempire quel vuoto nell’attuale politica e attivismo radicale?

Per questa lettura, è opportuno che l’adorazione dell’eroe di Lukács Lenin: A Study on the Unity of His Thought sia stato pubblicato separatamente, un anno dopo History and Class Consciousness e un mese dopo la morte di Lenin. È opportuno anche che il volume precedente non includesse alcun numero di altri saggi politici contemporanei, e che ciò che Lukács definì “cruciale” in quel volume – è, come sottolinea John Rees, “Towards a Methodology of the Problem of Organization” – sia relegato alla sua fine, dove pochi lo avranno raggiunto. Ma ora è emerso un altro testo di questo stesso periodo. (La sorprendente resurrezione di un certo numero di testi antichi “perduti” di Lukács dai loro polverosi caveau bancari o, come in questo caso, dagli archivi sovietici, è un’avventura archeologica che aspetta di essere raccontata.) Questo nuovo testo, una risposta ai critici di Storia e coscienza di classe all’interno del partito e redatta nel 1925 o 1926, rafforza la visione finora minoritaria, non solo che l’autore del classico filosofico in questione fosse un leninista, ma che il testo stesso non è pienamente comprensibile se non come contributo al marxismo-leninismo. E così, sentiamo quasi lo stesso Lenin mormorare, capita che per ottant’anni nessun marxista abbia mai capito correttamente Storia e coscienza di classe! Continue reading Fredric Jameson: Nient’altro che una merce. Su Lukacs

Montly Review: il movimento per la pace negli anni ’80 fermò riarmo nucleare. Le strategie nucleari USA e i nuovi missili in Germania

Da leggere e meditare l’editoriale del numero di settembre della rivista Montly Review. “Le “Notes from the Editors” di questo mese raccontano la storia dei preparativi degli Stati Uniti per una guerra nucleare “prolungata e limitata” e il ripetuto rifiuto di Washington di rispettare gli accordi internazionali in materia di armamenti nucleari. Con il recente annuncio che gli Stati Uniti posizioneranno missili Tomahawk con capacità nucleare sul suolo tedesco, a pochi minuti di distanza da Mosca, questa storia è ora, in modo preoccupante, più rilevante che mai. Buona lettura!
Nel luglio 1980, il presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, su istigazione del suo consigliere per la sicurezza nazionale Zbigniew Brzezinski, firmò la Direttiva presidenziale segreta 59 (PD-59, declassificata nel 2012) volta a sviluppare la capacità di combattere una guerra nucleare prolungata e limitata. La PD-59 era un piano per decimare la struttura di comando e controllo e di comunicazione dell’Unione Sovietica, insieme ai suoi sistemi di armi nucleari, in un primo attacco counterforce, privando così l’URSS della capacità di secondo attacco. Mentre questo piano segreto veniva messo in atto, Washington dichiarava pubblicamente la sua intenzione di installare centinaia di missili da crociera e Pershing II a medio raggio in Europa. Questa era apparentemente una risposta allo sviluppo russo di un missile nucleare a medio raggio, l’SS-20. Ma in realtà, come indicato dalla PD-59, era diretta a preparare una guerra nucleare “limitata”, utilizzando armi counterforce e basato sullo sviluppo di una capacità di primo attacco. Nel dicembre 1979, il Senato degli Stati Uniti si rifiutò di ratificare il trattato SALT II che limitava le armi nucleari strategiche, apparentemente sulla base dell’intervento sovietico in Afghanistan (una trappola per i sovietici avviata da Brzezinski in un altro piano segreto diretto a mobilitare i mujaheddin in Afghanistan, con terribili conseguenze a lungo termine che si sarebbero estese fino al secolo attuale) (“Jimmy Carter’s Controversial Nuclear Targeting Directive PD-509 Declassified” documents, Nuclear Vault, National Security Archive, George Washington University, 14 settembre 2012; William Burr, “How to Fight a Nuclear War“, Foreign Policy, 14 settembre 2012; “1998 Interview with Zbigniew Brzezinski on Afghanistan in Le Nouvel Observateur“, University of Arizona, dgibbs.arizona.edu).

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ISAAC DEUTSCHEER, MAOISMO: ORIGINI, CONTESTO E PROSPETTIVE (1964)

Questo articolo del grande storico, autore della ormai classica biografia di Trotsky, fu pubblicato su THE SOCIALIST REGISTER nel 1964, ben prima dunque della Rivoluzione Culturale. Colpisce che non vi sia menzione della grande carestia causata dal Grande Balzo in avanti. Buona lettura!

Che cosa rappresenta il maoismo? Cosa rappresenta come idea politica e come corrente del comunismo contemporaneo? La necessità di chiarire queste domande è diventata ancora più urgente perché il maoismo è ora in aperta competizione con altre scuole di pensiero comuniste per il riconoscimento internazionale. Eppure, prima di entrare in questa competizione, il maoismo è esistito come corrente, e poi come tendenza dominante, del comunismo cinese per trenta o trentacinque anni. È sotto la sua bandiera che le principali forze della rivoluzione cinese hanno combattuto la più lunga guerra civile della storia moderna e che hanno ottenuto la vittoria nel 1949, compiendo la più grande breccia nel capitalismo mondiale dalla Rivoluzione d’Ottobre e liberando l’Unione Sovietica dall’isolamento. Non sorprende che il maoismo sia finalmente riuscito ad avanzare politicamente oltre i confini nazionali e a rivendicare l’attenzione mondiale per le sue idee. Ciò che sorprende è che non l’abbia fatto prima e che sia rimasto a lungo chiuso nei confini della sua esperienza nazionale.
Il maoismo presenta, a questo proposito, uno stridente contrasto con il leninismo.
Anche quest’ultimo è esistito inizialmente come scuola di pensiero puramente russa, ma non per molto. Nel 1915, dopo il crollo della Seconda Internazionale, Lenin era già la figura centrale del movimento per la Terza Internazionale, il suo iniziatore e ispiratore: il bolscevismo, come fazione del Partito socialdemocratico russo, non aveva allora più di un decennio. Prima di allora i bolscevichi, come gli altri socialisti russi, avevano vissuto intensamente tutti i problemi del marxismo internazionale, assorbito tutte le sue esperienze, partecipato a tutte le sue controversie e si sentivano legati ad esso da vincoli indissolubili di solidarietà intellettuale, morale e politica.
Il maoismo è stato fin dall’inizio all’altezza del bolscevismo per quanto riguarda la vitalità e il dinamismo rivoluzionario, ma si differenziava da esso per una relativa ristrettezza di orizzonti e per la mancanza di un contatto diretto con gli sviluppi critici del marxismo contemporaneo. Si esita a dirlo, ma è vero che la rivoluzione cinese, che nella sua portata è la più grande di tutte le rivoluzioni della storia, è stata guidata dal più provinciale e “insulare” dei partiti rivoluzionari. Questo paradosso mette ancora più in risalto la forza intrinseca della rivoluzione stessa.

Cosa spiega questo paradosso? Uno storico nota innanzitutto la totale assenza di qualsiasi influenza socialista-marxista in Cina prima del 19171.
Fin dalla metà del XIX secolo, dalle guerre dell’oppio e dalla ribellione dei Taiping, passando per la rivolta dei Boxer e fino al rovesciamento della dinastia Manciù nel 1911, la Cina era stata animata dall’antimperialismo e dalla rivolta agraria; ma i movimenti e le società segrete coinvolti nelle rivolte erano tutti di carattere tradizionale e basati su antichi culti religiosi. Anche il liberalismo e il radicalismo borghese non erano penetrati oltre la Grande Muraglia fino all’inizio di questo secolo: Sun Yat-sen formulò il suo programma repubblicano solo nel 1905. A quel tempo il movimento laburista giapponese, di cui Sen Katayama era il famoso portavoce nell’Internazionale socialista, aveva ufficialmente abbracciato il marxismo. In Russia l’invasione delle idee socialiste occidentali era iniziata a metà del XIX secolo e da allora il marxismo aveva attanagliato le menti di tutti i rivoluzionari, populisti e socialdemocratici. Come disse Lenin, il bolscevismo si reggeva sulle spalle di molte generazioni di rivoluzionari russi che avevano respirato l’aria della filosofia e del socialismo europei.
Il comunismo cinese non ha avuto una simile ascendenza. La struttura arcaica della società cinese e l’autosufficienza profondamente radicata della sua tradizione culturale erano impermeabili ai fermenti ideologici europei.

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JOHN J. MEARSHEIMER: CHI HA CAUSATO LA GUERRA IN UCRAINA?

La questione di chi sia responsabile della causa della guerra in Ucraina è stata una questione profondamente controversa da quando la Russia ha invaso l’Ucraina il 24 febbraio 2022.
La risposta a questa domanda ha un’enorme importanza perché la guerra è stata un disastro per una serie di ragioni, la più importante delle quali è che l’Ucraina è stata di fatto distrutta. Ha perso una parte considerevole del suo territorio ed è probabile che perda di più, la sua economia è a pezzi, un gran numero di ucraini sono sfollati all’interno o sono fuggiti dal paese, e ha subito centinaia di migliaia di vittime. Naturalmente, anche la Russia ha pagato un prezzo di sangue significativo. Sul piano strategico, le relazioni tra la Russia e l’Europa, per non parlare della Russia e dell’Ucraina, sono state avvelenate nel prossimo futuro, il che significa che la minaccia di una grande guerra in Europa sarà con noi ben dopo che la guerra in Ucraina si trasformerà in un conflitto congelato. Chi è responsabile di questo disastro è una questione che non scomparirà presto e se qualcosa è probabile che diventi più evidente man mano che l’entità del disastro diventa più evidente per più persone.

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