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Camilla Ravera: Con Lenin al Cremino nel ’22 (1974)

Lenin con la moglie Nadezhda Krupskaja

«Era semplice nell’aspetto, nei modi, nelle parole che rendevano naturale la comunicazione. Ci chiese notizie sui nuovi avvenimenti italiani, sull’avvento dei fascisti al potere; Bordiga disse: “Per la classe operaia sarà un vantaggio perdere le ultime illusioni sulla democrazia borghese “; e Lenin: Ma gli operai che ne pensano?»

IL 21 GENNAIO 1924, nell’Ufficio clandestino della Segreteria del Partito stavamo fra noi conversando sul terzo compleanno del Partito: passavamo in rassegna — come avviene in tali occasioni — le vicende di quegli anni, cercando di fare un bilancio dell’opera compiuta, del suo costo in carcere. persecuzione, esilio; e insieme considerando le nuove prospettive di lavoro e di azione aperte dalla linea politica che — con la guida di Gramsci – andavamo ricuperando.

Il Partito era nato non soltanto nel momento di riflusso del grande moto operaio e popolare del dopo guerra, ma in una situazione di crisi e difficoltà economiche; di attacco iroso del padronato e dei grandi agrari contro i lavoratori; di violente aggressioni fasciste contro dirigenti sindacali e politici antifascisti, contro istituti, sedi, giornali proletari.

Nel vivo di quelle lotte e battaglie il Partito aveva dovuto costruire le sue Sezioni e compiere il suo lavoro, teso a risvegliare le coscienze, le volontà scoraggiate e umiliate dalla sconfitta; a costituire una forza politica capace di resistere e opporsi al fascismo impunito nei suoi delitti, protetto dalla forza pubblica, foraggiato, armato, attrezzato dal grande capitale industriale e agrario; e infine, dalla monarchia portato al governo del Paese.

Il Partito si era costruito una salda ossatura ramificata in tutte le regioni: doveva però diventare più capace di azione e iniziativa politica, di presenza politica nella realtà del paese. E di questa esigenza — insistentemente richiamata da Gramsci con le sue lettere da Vienna — stavamo fra noi conversando in quel terzo compleanno del Partito. Ma una gravissima, dolorosa notizia, di colpo, annullò ogni altro discorso e pensiero.

LENIN È MORTO: tutti i giornali, con grande rilievo, recavano questo annunzio: nella stampa borghese Lenin appariva ora nella sua reale grandezza.

LENIN È MORTO Non riuscivo a leggere altre parole. Provavo la sensazione di un grande vuoto improvviso: un vuoto grande sul nuovo cammino degli uomini che Lenin aveva aperto, iniziato, e lasciava nei suoi primi difficilissimi passi.

Ma quanto difficile appariva il procedere in quel cammino, restando fedeli. in ogni passo, al pensiero di Lenin. alla meta che egli aveva prospettato: la liberazione dell’uomo da ogni sfruttamento, oppressione, ingiustizia: e dalla irrazionalità e disumanità della guerra, verso la libera, responsabile. solidale comunità di tutti gli uomini.

Pensavo alle difficoltà, ai problemi tremendi già incontrati in quegli anni. Lenin sapeva all’occorrenza rallentare il passo, e di nuovo avanzare, sempre lungo il filo rosso di fondo. Sapeva costruire, ricostruire, riordinare: dalla fabbrica, alla direzione dello Stato: in permanente contatto con i compagni, con gli operai, i contadini, gli intellettuali, i soldati. le donne, i giovani: stimolando e animando la fervida, creativa cooperazione di tutti. Con la sua ricchissima umanità riusciva a identificarsi con l’intiero suo popolo.

E a un tratto, da quei pensieri emerse in me. vivissima, l’immagine di Lenin. sulla porta della sua stanza di lavoro amichevolmente sorridente nello accogliere Bordiga e me: nel novembre 1922.

Mi trovavo allora a Mosca: facevo parte del gruppo di compagni che rappresentavano il Partito al IV Congresso dell’Internazionale Comunista. A Mosca ci era giunta la notizia della «marcia fascista su Roma». Quell’avvenimento era diventato argomento di tutti i nostri discorsi. E su quell’avvenimento si era manifestato il profondo dissenso di valutazione e di pensiero esistente fra Gramsci e Bordiga.

Per Bordiga. la «marcia su Roma» era stata un buffonesco modo di cambiamento di governo: concluso con una operazione parlamentare nel quadro delle strutture tradizionali dello Stato: con la formazione di un governo il quale poteva risultare più reazionario di altri precedenti, ma non modificava la sostanza dello Stato borghese: e quindi non poneva problemi politici particolari alla classe operaia e al suo Partito.

Per Gramsci, invece. la millantata «marcia su Roma» e l’instaurazione del governo fascista costituivano un fatto che modificava profondamente la direzione e l’apparato dello Stato in senso antioperaio e antidemocratico, e creava conseguenze gravi per le organizzazioni sindacali e politiche della classe operaia e per gli altri movimenti antifascisti, prospettando un periodo di dura repressione antioperaia e anticomunista, condizioni e problemi nuovi per la vita. la politica, la tattica del Partito.

Bordiga desiderava soprattutto di avere con Lenin un colloquio sui problemi politici e tattici allora in discussione nell’Internazionale Comunista e nell’Unione Sovietica: ma, Lenin era malato, e i medici non permettevano che fosse affaticato con discussioni.

Un mattino, però. Bordiga, entrando nello studio di Gramsci, annunciò che una breve visita di saluto a Lenin gli era stata concessa. E mi condusse con sé.

Lenin — come altri dirigenti sovietici — abitava allora nel Cremlino: non nel palazzo degli zar, conservato come Museo nazionale. ma in un modesto appartamento in una delle palazzine già abitate dal personale della corte.

Quel mattino. ì palazzi. le chiese, le vie. le piazze del Cremlino erano avvolte di neve asciutta e morbida, qua e là luccicante nel sole con i vividi colori dell’iride. Un quadro suggestivo: in cui io mentalmente collocavo la grande — già quasi mitica — figura di Lenin. Tanto grande era Lenin, tanto straordinaria l’opera da lui compiuta, che ognuno era portato a raffigurarlo anche nell’aspetto con immagini di grandezza e di potenza E così io lo immaginavo nel momento in cui fummo introdotti nel suo studio.

Egli ci era venuto incontro sorridendo, salutando in italiano, e continuando il discorso in francese. Era estremamente semplice, nell’aspetto, nei modi, nelle parole che rendevano naturale e immediata la comunicazione. «È Lenin » — mi dicevo, quasi con stupore.

Tutta la mia attenzione era concentrata su di lui. Del luogo, infatti, non ho ricordi particolarmente precisi: una grande stanza dalle pareti intieramente occupate da scaffali colmi di libri, riviste, giornali. In fondo alla stanza un ampio tavolo con fogli, cartelle, giornali: fra gli altri mi colpirono alcuni giornali italiani, aperti: forse li stava sfogliando — pensavo — e segnando qua e là parti da far tradurre per una lettura precisa. Seduti intorno a quel tavolo fraternamente si conversava.

Bordiga diceva a Lenin che eravamo stati in ansia e preoccupazione per la sua salute. «Sto bene — interrompeva sorridendo Lenin — Debbo però obbedire a tiranniche prescrizioni dei medici: per non riammalarmi. Ciò sarebbe spiacevole, c’è tanto da fare».

Ed era passato a parlare delle cose di Russia. Era soddisfatto della ripresa lenta ma sicura dell’economia sovietica: citava a conferma della sua fiduciosa soddisfazione fatti, dati, argomenti, con un discorso lucido, incisivo, che non lasciava ombre né dubbi. «Di queste cose parlerò al Congresso» — aveva detto — Ora desidero sentire notizie e opinioni sui nuovi avvenimenti d’Italia».

Bordiga aveva esposto i fatti e ripetuto i giudizi già sostenuti con Gramsci. Lenin ascoltava, serio, e — mi pareva — un po’ stupito. Ad un tratto chiese: «Che cosa pensano di questi avvenimenti gli operai, i contadini, la gente d’Italia?». E Bordiga: «Per la classe operaia sarà un vantaggio perdere le ultime illusioni sul valore della democrazia borghese». « Ma — aveva insistito Lenin — oggi che cosa pensano gli operai?».

«Lottano», dissi io. Pensavo ai lavoratori che stavano combattendo contro le squadracce fasciste in tante città e campagne d’Italia.

«Lottano? Bene» commentò Lenin. E aggiunse: «La classe operaia lotta sempre per conquistare e difendere i diritti democratici; anche se contenuti nei limiti del potere borghese. E quando li perde lotta per riconquistarli».

Ma il discorso era stato interrotto. Nella stanza era entrata la compagna di Lenin: fatto a noi un cenno di saluto, guardava Lenin, come in attesa.

«L’ingresso di Krupskaia — egli spiegò — significa che il tempo concesso per il nostro colloquio è finito. I medici sono severi, e io debbo obbedire»-

«Ci rivedremo al Congresso» — disse cordialmente mentre ci accompagnava alla porta dello studio. Al momento di lasciarci, riferendosi al discorso interrotto, disse ancora: «Avrete un lavoro duro, difficile. Essenziale sarà il non perdere mai, in nessuna situazione, il contatto diretto con la realtà, con gli operai, i contadini, la condizione e la vita di tutto il popolo».

Nel corso della mia lunga milizia e specialmente in momenti difficili e decisivi, quelle parole risuonarono sempre in me, come indicazione e ammonimento permanentemente validi i importanti.

Camilla Ravera

 

Questo articolo fu pubblicato su l’Unità nel 1974 in occasione del cinquantesimo anniversario della morte di Lenin.

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