Vi propongo un resoconto sul massacro di Odessa del 2 maggio 2014 scritto dal marxista russo Boris Kagarlitsky nei giorni immediatamente successivi. Ricordo che quel giorno i militanti dell’organizzazione neo-nazista Pravyj Sektor, uniti con gli ultras delle squadre di calcio Cornomorec’ Odessa e Metalist Kharkiv nelle file dei “pro-Maidan”, assaltarono e incendiarono la Casa dei sindacati in cui avevano cercato rifugio i manifestanti della parte opposta. Le vittime sono morte bruciate o cercando di sfuggire alle fiamme gettandosi dalle finestre e dal tetto. Il più giovane si chiamava Vadim Papura, un ragazzo di 17 anni, membro della Gioventù comunista ucraina. L’autore di questo resoconto è l’intellettuale marxista russo Boris Kagarlitsky che sta scontando una condanna a 5 anni e mezzo di reclusione per la sua opposizione alla guerra. Non è dunque sospettabile di sostegno a Putin ma il suo resoconto smonta anche la narrazione manichea della propaganda occidentale e dei banderisti ucraini. Le opposte propagande di guerra tendono a cancellare proprio le voci come quella di Kagarlitsky per il quale non hanno dimostrato grande attenzione i media mainstream. Vi segnalo su questo blog anche un altro articolo di Kagarlitsky del 2014 sulla rivolta nell’Ucraina orientale dopo EuroMaidan. Nel 2023 ho promosso un appello sul quotidiano il manifesto per la liberazione di Kagarlitsky. E’ attiva una campagna internazionale di solidarietà con Boris Kagarlitsky. La casa editrice Castelvecchi ha meritoriamente pubblicato due libri di Kagarlitsky: L’impero della periferia. Storia critica della Russia dalle origini a Putin e La lunga ritirata. Per la rinascita del socialismo in Europa. Segnalo che una sentenza della Corte europea dei Diritti umani ha condannato l’Ucraina per le gravi negligenze della polizia, i ritardi dei soccorsi e il modo in cui sono state insabbiate le indagini sulla strage della Casa dei sindacati. Allo stesso tempo attribuisce ai manifestanti “anti-Maidan” l’inizio degli incidenti che portarono ai fatti tragici di quel 2 maggio. (M.A.)
Nella Casa dei sindacati di Odessa il 2 maggio sono morte più persone che in diversi giorni di combattimenti nel Donbass, anche se a Kramatorsk lo stesso giorno le forze governative si sono superate, uccidendo 10 residenti locali disarmati che avevano cercato di bloccare il percorso dei veicoli blindati.
È evidente a tutti che la catastrofe di Odessa ha segnato una svolta nella storia della guerra civile iniziata quando le forze governative ucraine attaccarono Slavyansk e altre città che avevano innalzato la bandiera della repubblica di Donetsk.
Inevitabilmente, la ferocia da entrambe le parti aumenterà; l’escalation della violenza e la divisione del Paese sono inevitabili. Ma non è solo in Ucraina che gli eventi del 2 maggio hanno rappresentato uno spartiacque per l’opinione pubblica. Questo vale anche per la Russia.
Le guerre civili sono sempre accompagnate da una brutalizzazione della società, e non c’è motivo di affermare che a Odessa i famigerati “attivisti filorussi” e sostenitori del federalismo fossero tutti ammiratori di Tolstoj e Gandhi. Indubbiamente, c’erano persone che brandivano armi e sparavano durante gli scontri di strada tra i gruppi in lotta; persino testimoni oculari tra i sostenitori dell'”autodifesa di Euromaidan” riconoscono che c’erano armi da fuoco da entrambe le parti. Le uniche obiezioni riguardano la questione di chi abbia sparato per primo.
Molto probabilmente, il primo a premere il grilletto è stato qualcuno tra i manifestanti “filo-russi”. Ma cosa cambia, in sostanza, questo? C’erano persone che si sono scontrate per strada e ne hanno bruciate altre nella Casa dei Sindacati. Diverse ore di “feroci battaglie di strada” si sono concluse, se dobbiamo credere ai resoconti disponibili il 5 maggio, con quattro o cinque morti da entrambe le parti (questo significa che le armi da fuoco non sono state usate in modo davvero grave; altrimenti, il numero delle vittime sarebbe stato maggiore). Ma secondo i dati ufficiali c’erano più di 40 corpi in piazza Campo Kulikova [di fronte alla sede dei sindacati – tr.], e secondo conteggi non ufficiali più di un centinaio. E la procura ucraina è stata costretta ad ammettere che non sono state trovate armi nella Casa dei Sindacati.
Rivoluzioni, conflitti civili e disordini di massa sono sempre accompagnati da una serie di eccessi. Per questo motivo, nel criticare il Maidan ucraino, non abbiamo discusso di specifici atti di violenza, ma piuttosto del contenuto politico del movimento: la sua ideologia, i suoi leader e le sue forze motrici. Abbiamo individuato le persone che hanno tratto vantaggio dal movimento e discusso la questione di dove il suo programma avrebbe portato il Paese. Fin dall’inizio, tuttavia, è stato evidente che le azioni delle “centinaia di Euromaidan” superavano nettamente qualsiasi norma di “forza accettabile” riconosciuta nella società moderna. Negli ultimi tempi abbiamo assistito a numerose rivolte e manifestazioni di massa in varie parti del mondo, ma prima di Euromaidan a nessuno era mai venuto in mente di lanciare molotov direttamente contro le persone. Gli anarchici europei hanno spesso incendiato veicoli blindati della polizia e lanciato bombe molotov contro edifici di banche e uffici vuoti e chiusi, saggiamente abbandonati dai loro dipendenti. Ma nessuno ha mai tentato in precedenza di incendiare poliziotti schierati in un cordone o locali con persone all’interno. Niente del genere è accaduto nemmeno durante la “primavera araba”, in Tunisia o in Egitto.
Tuttavia, la violenza spontanea durante gli scontri di strada è una cosa, mentre gli atti di vendetta, permessi e approvati dalle autorità e giustificati dalla propaganda, sono tutt’altra cosa. Tali fenomeni sono un segno distintivo di un movimento politico totalitario e della sua ideologia. Mentre un movimento democratico condanna tali eccessi e si sforza di superarli, il fascismo li eleva a eroicità, giustificandoli e persino istituzionalizzandoli. Questo è ciò che abbiamo visto a Odessa il 2 e 3 maggio.
Ad aggravare le azioni dei pogromisti c’è stata la repressione da parte dello Stato. Subito dopo l’incendio della Casa dei Sindacati di Odessa, centinaia di attivisti del movimento anti-Maidan di Odessa sono stati arrestati, mentre non si è avuta notizia di arresti tra i partecipanti al pogrom. Il governatore della provincia di Odessa, Vladimir Nemirovsky, ha parlato della “legittimità delle azioni dei sostenitori di Euromaidan”. Definire il governo di Kiev fascista sulla base degli eventi di febbraio o marzo 2014 era alquanto prematuro. Ma con ogni giorno che passa, il messaggio diventa più chiaro: sebbene alcuni possano essere stati frettolosi nelle loro descrizioni del blocco di nazionalisti, estremisti di destra e neoliberisti che ha preso il potere in Ucraina, queste descrizioni vengono comunque confermate.
È già abbastanza sconcertante ricordare gli attivisti bruciati vivi o morti per inalazione di fumo nella Casa dei Sindacati; quelli picchiati a terra all’esterno; quelli fucilati dopo la “pulizia” dell’edificio da parte di esultanti sostenitori del regime di Kiev; o quelli arrestati dalla polizia dopo aver riportato ferite e ustioni. Non meno sconcertante, tuttavia, è stata la reazione dei sostenitori ideologici delle attuali autorità ucraine, coloro che hanno riempito lo spazio informativo di urli di trionfo.
Magari si trattasse esclusivamente di politici ucraini di estrema destra e propagandisti ufficiali! Ma membri dell’intellighenzia di Mosca e Kiev, persone di grande gentilezza nella vita di tutti i giorni, hanno pubblicato con entusiasmo resoconti trionfali di omicidi di massa. Poi, con lo stesso entusiasmo, hanno continuato a pubblicare un’ampia gamma di teorie del complotto, contraddicendosi a vicenda a ogni parola, ma conducendo invariabilmente a un’unica conclusione: chiunque fosse responsabile delle morti, non erano coloro che avevano appiccato personalmente gli incendi e commesso le uccisioni.
Le mura della Casa dei Sindacati, ormai bruciata, non si erano ancora raffreddate e non era stato ancora identificato un solo cadavere, quando abbiamo iniziato a essere informati che tra le vittime non c’era nessuno di Odessa, che tutti i morti erano russi o provenienti dalla regione della Transinistria. Un fantastico espediente per giustificare lo sterminio di esseri umani! Persino coloro che condividevano questa logica antiumanista avrebbero dovuto, come minimo, riconsiderare la propria visione degli eventi quando si è scoperto che le vittime del pogrom provenivano effettivamente da Odessa. Ma qualcuno si è scusato per aver diffuso questa menzogna o ha ammesso di essere stato male informato? O ha semplicemente pubblicato altre informazioni più accurate? No, non appena una versione si è esaurita, i responsabili ne hanno appropriata un’altra. Abbiamo appreso che le vittime del pogrom si sono date fuoco, che non si sono lasciate salvare o che per qualche motivo si sono nascoste deliberatamente nella Casa dei Sindacati per provocare un attacco. E molto altro ancora sullo stesso argomento.
Certo, è impossibile che i blogger seduti davanti a uno schermo di computer possano essere messi nella stessa categoria di chi lancia bombe molotov contro altri esseri umani. Ma quando si dà l’approvazione pubblica alla violenza, questo diventa un fattore che ne stimola l’escalation. L’entusiasmo per l’Euromaidan ha creato l’atmosfera psicologica e politica che ha reso possibile la tragedia di Odessa. I membri dell’intellighenzia che hanno difeso e giustificato gli assassini si sono ora schierati dalla loro stessa parte, rendendo possibili nuovi crimini.
La guerra civile non si sta svolgendo solo in Ucraina. Anche la Russia viene coinvolta nella sua orbita. Finora questo è avvenuto solo sotto forma di dibattito pubblico e a livello verbale. Ma, come hanno dimostrato gli eventi in Ucraina, le parole si trasformano facilmente in azioni. Le parole possono avere l’effetto di rimuovere inibizioni morali, psicologiche e culturali. Chi parla si rende conto del grado di responsabilità che ha solo quando è troppo tardi, anche per sé stesso.
Leave a Reply
You must be logged in to post a comment.