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Woodstok Nation Revisited: Abbie Hoffman, Joan Baez e gli avvoltoi della cultura del capitalismo

di Jonah Raskin 

Vi propongo la traduzione di un articolo del biografo di Abbie Hoffman e autore di un gran bel libro su Howl di Allen Ginsberg uscito su Counterpunch. Si tratta di una rilettura a 50 anni di distanza del libro che Abbie scrisse dopo Woodstock purtroppo mai pubblicato in Italia. Fortunatamente la Shake Edizioni ha pubblicato la bellissima autobiografia di Abbie – lo spirito santo della sinistra americana secondo Norman Mailer – scritta alla fine degli anni ’70 dopo anni di clandestinità. Nell’articolo si fa riferimento a recenti dichiarazioni di Joan Baez, figura simbolo dell’attivismo politico nel movimento per i diritti civili e contro la guerra. Era una militante seria non dedita alla psichedelia e decisamente non entusiasta degli hippies. Raskin giustamente ricorda che c’era anche un’altro modello di militante a Woodstock: Abbie Hoffman fondatore degli Yippies che teorizzavano e praticavano il mix politico tra beat Generation e marxismo, controcultura underground, nuovi comportamenti giovanili hippies e attivismo rivoluzionario. Furono gli Yippies e i settori di movimento come la Hog Farm di Wavy Gravy a gestire l’autorganizzazione di quei giorni. Hoffman successivamente denunciò che i produttori avevano “decaffeinato” il film tagliando tutte le immagini in cui emergevano elementi di politicizzazione. Comunque non solo Joan Baez cantò canzoni esplicitamente politiche a Woodstock. Ricordo tra gli altri Country Joe e Jefferson Airplane (Abbie Hoffman con Grace Slick poco tempo dopo cercò di  infilarsi in un party alla Casa Bianca per mettere lsd nel bicchiere del presidente Nixon). Per non parlare dell’inno americano stravolto in un bombardamento da Jimi Hendrix. Buona lettura!

Il festival musicale di Woodstock, ora un evento leggendario, si è svolto molto tempo fa e i ricordi sono in gran parte svaniti. La folksinger, Joan Baez, non può davvero essere criticata per aver recentemente affermato che a Woodstock “Nessuno stava davvero pensando ai problemi seri”. Vero, non molti, ma nemmeno nessuno. Baez ha anche suggerito in una recente intervista al New York Times di essere stata l’unica a Woodstock a essere preoccupata per la guerra, i diritti civili e il cambiamento sociale. Suo marito, David Harris – che era stato arrestato e condannato per rifiuto della leva militare (un crimine) – stava scontando una pena di 15 mesi in una prigione federale. A Woodstock, Baez cantò a squarciagola. No teenybopper or hippie chick, era una musicista professionista. Era anche incinta e aveva la missione convinta di portare la pace e l’amore nel mondo.

Tuttavia, Baez non era l’unica persona a Woodstock che voleva trasformare il mondo e trasformarlo il prima possibile. Nella sua personale maniera idiosincratica, Abbie Hoffman non era meno impegnato in una rivoluzione della Baez, che ha offerto al Times la sua definizione di rivoluzione. “Una rivoluzione”, ha detto, “implica l’assunzione di rischi e andare in prigione e tutta quella roba che è accaduta nel movimento per i diritti civili e nella resistenza all’arruolamento”. Abbie andò in Mississippi nel 1965. Si oppose alla guerra in Vietnam per anni.

Nell’estate del 1969, a quasi 33 anni, aveva corso grossi rischi nei movimenti per i diritti civili e contro la guerra e li aveva pagati andando in prigione. A metà del suo libro, Woodstock Nation: A Talk-Rock Album, che scrisse in poche settimane, elencava dieci dei suoi arresti più recenti. Includono: uno nel campus della Columbia University di New York nel 1968 durante lo sciopero degli studenti; un altro a Chicago durante la Convenzione nazionale democratica e la “rivolta della polizia” per avere la parola “Fuck” sulla fronte; e ancora un altro lo stesso anno, alle audizioni del House Committee on Un-American Activities a Washington D.C., dove indossava una “camicia con bandiera americana”.

Un Hoffman pieno di cicatrici andò a Woodstock per politicizzare la cosa. In particolare, voleva avvisare la folla della prigionia, per il possesso di due canne, di John Sinclair, il fondatore del White Panther Party.

La rivendicazione Yippie di una “Società Libera”, che è riprodotta in Woodstock Nation, offre otto articoli. Il primo è “Free John Sinclair e tutti gli altri prigionieri politici”. Il settimo punto, che è indirizzato al governo, afferma: “Convincerai gli avvoltoi della cultura che hanno preso la nostra cultura … e l’hanno trasformata in profitti a pagare 300.000,000 dollari in riparazioni. “

Il secondo giorno del festival, il 16 agosto 1969, Hoffman salì sul palco quando Pete Townshend e gli Who si esibivano. Afferrò il microfono e gridò: “Free John Sin …” Fu quanto riuscì a dire. Townshend gli dette una botta in testa con la sua chitarra elettrica e gridò: “Vaffanculo fuori di qui” Hoffman rispose “Porco fascista.”

Il fascismo è una corrente sotterranea che attraversa tutto Woodstock Nation. Hoffman definisce Ronald Reagan “la pistola fascista del West”. Aggiunge che “Abbiamo sempre saputo che Hitler stava gestendo il Dipartimento di Stato, ora sembra che abbia preso anche il dipartimento di Giustizia”. Hoffman pensava che il mix di Woodstock di rock ‘n’ roll, marijuana e sesso erano compatibili con una versione americana del fascismo.

Nel capitolo intitolato “Power to the Woodstock Nation”, lui pose una serie di domande cruciali sulla folla di 400.000 persone. “Eravamo pellegrini o lemmini? È stato l’inizio di una nuova civiltà o i sintomi di una morente? Stavamo stabilendo una zona liberata o entrando in un campo di detenzione? “

Hoffman non rispose alle domande con un sì o un no, anche se  ricordò ai lettori che “Quando gli ebrei entravano nei forni di Dachau, i nazisti suonavano musica di Wagner, distribuivano fiori e distribuivano saponette gratuite”. I figli dei fiori potrebbero essere, ragionava, sacrificati al dio della guerra. In effetti, come lui affermava, i giovani furono sacrificati al dio della guerra sui campi di battaglia del Vietnam.

Quando scrisse, Woodstock Nation, Hoffman era già una figura iconica e famigerata. Il suo resoconto del festival musicale, che avrebbe potuto essere chiamato “Paura e delirio a Woodstock”, lo rese ancora più iconico e famigerato di quanto non fosse stato prima di Woodstock. Dal 1969, quando Random House pubblicò il suo libro, Hoffman è stato collegato al festival di Woodstock e all’espressione “Woodstock Nation”, che lui coniò. Prese in prestito il suo concetto di una nazione di hippy dai nazionalisti neri degli anni ’60. Dopo aver letto Malcolm X, Stokely Carmichael e James Foreman, sapeva quanto potesse essere potente un’idea di nazionalismo.

L’espressione “Woodstock Nation” è stata presa in prestito e riciclata più e più volte negli ultimi 50 anni e utilizzata come titolo per dozzine di libri e articoli. Fa parte dell’eredità duratura di Hoffman e una parte fondamentale del suo contributo alla rivoluzione culturale degli anni Sessanta. Nessuno, o almeno pochissime persone che erano in vita allora e con più di 20 anni, hanno dimenticato la frase, anche se nessuno sembra aver riletto attentamente Woodstock Nation.

Il critico musicale del New York Times John Pareles ha scritto di recente che “Woodstock ha semplicemente identificato un grande e promettente segmento del mercato giovanile, pronto per lo sfruttamento commerciale che sarebbe seguito quasi immediatamente”. Pareles ha aggiunto: “La Woodstock Nation, nonostante le speranze di Abbie Hoffman quando coniò il termine, si è rivelata essere una forza demografica piuttosto che una forza politica”.

Mi dispiace contraddire Pareles. Una lettura attenta di Woodstock Nation mostra che Hoffman era ben consapevole del fatto che gli “avvoltoi della cultura”, come li chiamava, nel mondo aziendale stavano già sfruttando il mercato giovanile e ottenendo un congruo profitto.

Quasi ovunque guardasse nel 1969, Hoffman vide il “raggiro” della cultura hippy e anche della cultura afroamericana. Ecco perché lui chiedeva riparazioni. Lui si accorse anche del fatto che il capitalismo incorporava il linguaggio stesso della sinistra. La parola “rivoluzione”, che aveva avuto connotazioni negative negli Stati Uniti per decenni, veniva improvvisamente associata a tutte le cose buone. All’inizio del suo primo libro, Revolution for the Hell of It, mise una citazione da uno spot televisivo: “Dash: una rivoluzione nella polvere detergente”. Nel giro di poco tempo, i mass media avrebbero parlato della “Rivoluzione di Reagan”.

Woodstock Nation offre spunti preziosi sulla vita di Hoffman. Non sorprende che l’autore si definisca “autodistruttivo, egocentrico, eccitato, in mostra, paranoico-schizofrenico”. E non è tutto. Si descrive anche come “bianco”, “maschio” e “imbranato”. Non sorprende che i biografi abbiano avuto difficoltà a mettere ordine nelle loro teste su Hoffman e la fine degli anni ’60, che lui descrive come “un periodo imbarazzante di ansie e dubbi”.

C’è calore in Woodstock Nation, specialmente nei sinceri, anche se brevi, omaggi a Joan Baez e Pete Seeger. C’è anche una visione non romanticizzata di Woodstock come espressione di “anarchia funzionale” e “tribalismo primitivo”. Hoffman aveva un occhio acuto. Notò che Baez era incinta e che mentre pioveva, Wavy Gravy e i membri della Hog Farm continuavano a dare da mangiare alle persone.

Uno dei piaceri della lettura di Woodstock Nation oggi è l’esperimento di Hoffman nella narrazione. Lui incluse una lettera a John Mitchell nel Dipartimento di Giustizia, una lettera che immagina che il Che abbia scritto prima della sua morte e un’intervista in cui pone le domande e fornisce le risposte. Come un “album”, il libro gira e gira in tondo e non in modo lineare.

Woodstock Nation evoca effettivamente un tempo e un luogo distanti, ma non è solo un artefatto di un’altra epoca. Hoffman pone le grandi domande che ora dovrebbero essere poste dagli attivisti e dai promotori di nuove tecnologie e stili di vita alternativi.

“È l’inizio di una nuova civiltà o il sintomo di una morente?” Questa domanda è valida oggi come lo era nel 1969. È valida anche se lo stesso Hoffman potrebbe essere un odioso sessista. In Woodstock Nation, proclama: “Dio, mi piacerebbe scopare Janis Joplin”.

Hoffman definisce anche John Sinclair come una “montagna di uomo” che può “scopare venti volte al giorno”. Nonostante il suo sessismo, dipinge un ritratto complesso delle contraddizioni nella controcultura degli anni Sessanta e del ruolo di sfruttamento del capitalismo aziendale. Rivela anche i suoi difetti e un senso di auto-indulgenza, che lui condivise con Baez. Peccato che non si siano uniti. Dopotutto, a Woodstock erano attivisti politici in un mare di hippy in gran parte apolitici. Un’alleanza Hoffman-Baez non doveva esserci. Erano diversi l’uno dall’altro quanto Baez lo era da Janis Joplin che sollevò una bottiglia di alcol in un sacchetto di carta quando Baez la invitò per il tè.

 altri post su Abbie Hoffman:

Quando divenni marxista (un documentario su Abbie Hoffman del 1979)

Amiri Baraka: The Last Revolutionary (For Abbie Hoffman)

Abbie Hoffman: come fu manipolato il film Woodstock 

 

 

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