Il mondo moderno ha conosciuto un continuo processo di privatizzazione della proprietà pubblica. In Europa, la grande quantità di terre comuni create dopo il crollo dell’impero romano e la diffusione del cristianesimo, finirono per passare sotto il controllo del capitalismo nel corso dell’accumulazione originaria. Ciò che oggi resta dei vasti spazi aperti di un tempo appartiene per lo più alla leggenda: la foresta di Robin Hood, le grandi pianure degli Indiani d’America, le steppe delle tribù nomadi, e così via. Nell’epoca del consolidamento della società industriale, la costruzione e la distruzione degli spazi pubblici ha avviato una spirale sempre più ampia. Quando le necessità dell’accumulazione lo rendevano necessario (per accelerare lo sviluppo, per concentrare e mobilitare i mezzi di produzione, per fare le guerre, ecc.), la crescita della proprietà pubblica avveniva tramite l’espropriazione di ampi settori della società civile e con il trasferimento della ricchezza e della proprietà alla collettività . Quella proprietà pubblica tornava però poi, altrettanto rapidamente, nelle mani dei privati. In ognuno di questi episodi, il possesso comune, tradizionalmente considerato come una realtà naturale, viene trasformato, a spese della sfera pubblica, in una seconda o in una terza natura che finisce sempre per essere funzionale al profitto privato. Una seconda natura fu ad esempio creata con la deviazione del corso dei grandi fiumi del Nord America per irrigare le valli che soffrivano la siccità . In seguito, questa nuova massa di ricchezze fu consegnata ai magnati dell’industria agroalimentare. Il capitalismo mette in moto un ciclo continuo di riappropriazione privata dei beni pubblici, espropria ciò che è comune.
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