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PD DIA RETTA A TRAVAGLIO: D’ALFONSO INCANDIDABILE

travaglio

Dopo Il Fatto, La Stampa, Repubblica ora il caso D’Alfonso finisce sul settimanale L’Espresso.
MARCO TRAVAGLIO dedica la sua rubrica settimanale “Carta canta” alla candidatura di Luciano D’Alfonso invitando esplicitamente il PD “a cambiare cavallo”.
L’articolo di Travaglio riassume molto bene le ragioni per cui Rifondazione, unico partito della sinistra, ha deciso da tempo di non appoggiare il candidato del centrosinistro e di proporre la mia candidatura a presidente in alternativa.
Se nel centrosinistro abruzzese dominano ignavia e complice silenzio l’insostenibilità della candidatura di Luciano D’Alfonso è ormai un caso nazionale.
Le cose che scrive Travaglio le ripetiamo da mesi inascoltati dall’intero centrosinistro e non possiamo che associarci all’invito che il giornalista rivolge al PD.
Non so quanti voti prenderemo, ma sono orgoglioso del fatto che siamo stati gli unici a decidere che è meglio rischiare di rimetterci il seggio che perderci la faccia e la dignità.

Leggete&condividete.

Carta Canta, l’Espresso 21 marzo 2014

Sui politici inquisiti,e perfino condannati, Forza Italia ha almeno il pregio della chiarezza: candida alle Europee il pregiudicato interdetto decaduto Silvio Berlusconi. Sulla posizione del Pd, invece, chi ci capisce è bravo. La ministra renziana Maria Elena Boschi comunica alla Camera che “non è intenzione del governo chiedere dimissioni di ministri o sottosegretari sulla base di un avviso di garanzia,ma solo per problemi di opportunità politica”. Dunque il ministro Lupi (Ncd, indagato per abuso d’ufficio), il viceministro Bubbico (Pd, rinviato a giudizio per lo stesso reato) e i sottosegretari Barracciu, Del Basso de Caro e De Filippo (Pd, indagati per peculato nelle Rimborsopoli regionali) possono restare tranquillamente al loro posto. Del resto erano nei guai già prima di essere nominati e Renzi non ha fatto una piega. O meglio, una pieguccia l’aveva fatta con la Barracciu che, vinte le primarie per candidarsi a governatore di Sardegna, era stata scandidata in quanto inquisita. Ora il caso si ripete in Abruzzo: Luciano D’Alfonso, ex sindaco di Pescara, arrestato nel 2008 per storie di mazzette e poi rinviato a giudizio tre volte (due per corruzione, una per truffa e falso), è il candidato governatore alle regionali del 25 maggio, dopo avere stravinto le primarie di coalizione (Pd-Idv-Sel). Dei tre procedimenti, quello per truffa e falso è in corso, mentre i due per corruzione si sono chiusi in primo grado con l’assoluzione: ma per uno la Procura ha fatto ricorso e si sta celebrando l’appello. C’era da attendersi il pronto intervento di Renzi sul modello Barracciu, onde evitare che D’Alfonso sia eletto e poi, in caso di condanna in secondo grado, costretto a dimettersi. Sarebbe il secondo governatore consecutivo del Pd a farlo per motivi penali, dopo Ottaviano Del Turco. Invece niente: Renzi tace e il Pd acconsente.

Ed è davvero bizzarro, perchè la lista che sostiene D’Alfonso, “Insieme Nuovo Abruzzo”, ha messo nero su bianco nella “Carta d’intenti per il cambiamento abruzzese” che “la questione morale sarà un cardine della coalizione e del suo governo”, con tanto di Codice etico che recepisce la “Carta di Pisa” di Avviso pubblico per la trasparenza negli enti locali. Articolo 6: “In caso sia rinviato a giudizio per reati di corruzione… l’amministratore si impegna a dimettersi”. Essendo improbabile che i suoi processi si chiudano entro due mesi, D’Alfonso –se eletto- sarà un amministratore rinviato a giudizio per corruzione, truffa e falso. Dunque tenuto a dimettersi un minuto dopo la sua elezione. Che aspetta il Pd a cambiare cavallo? D’Alfonso non rientra neppure nel “lodo Boschi”: non ha soltanto un avviso di garanzia, ma due rinvii a giudizio ancora attivi; inoltre presenta proprio in quei “problemi di opportunità politica” che – Boschi dixit – impongono le dimissioni. Non c’è neppure bisogno di attendere la sentenza d’appello. Basta leggere la sentenza di assoluzione in primo grado: per anni D’Alfonso e famiglia sono stati mantenuti dall’amico costruttore Carlo Toto (il patron di Airone), a suon di vacanze e viaggi gratis a Chicago, Malta, Santiago de Compostela, Zagabria, Spalato su aerei, jet-privati e motoscafi-taxi,cene elettorali e persino un’Alfa 166 con autista incorporato. Regali da centinaia di migliaia di euro: tutto a sbafo. Poi Toto – che controlla pure l’autostrada Roma-L’Aquila-Pescara–otteneva appalti dalla giunta D’Alfonso. Per il Tribunale erano “mere donazioni in spirito di amicizia”. Intanto però i D’Alfonso – ricorda la Procura nel ricorso – facevano la bella vita: tre case, due auto di lusso e acquisti in contanti per decine di migliaia di euro, senza redditi o prelievi che giustifichino quel giro di denaro e i continui versamenti in banca di rotoli di banconote (a parte “la pensione di una zia” e imprecisati “regali di parenti”). Anche se fosse tutto lecito, non ritiene Renzi che un amministratore che vive a spese di un suo appaltatore crei qualche piccolo “problema di opportunità politica”? In alternativa, potrebbe gentilmente spiegare che deve fare di più un politico per essere “inopportuno”?

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