Pietro Ingrao è stato una personalità talmente importante negli anni della mia formazione e come punto di riferimento nel corso del tempo che in questi giorni per me è difficile scriverne. Troppe le cose che mi vengono in mente. Forse senza Ingrao non sarei uno di quelli che si definisce ancora comunista. Penso che sia doveroso innanzitutto a leggerlo  e ad ascoltarlo. Dalla raccolta di scritti Coniugare al presente (pag.95-99)un testo del dicembre 1989, la sua risposta a chi dal crollo del “socialismo reale” derivava l’abbandono e la liquidazione del comunismo. Buona lettura!
Di fronte al crollo dei regimi dittatoriali dell’Est messi in piedi e imposti da partiti comunisti, e dinanzi ala novità delle domande che emergono in questa fine di secolo, ha senso e ha fondamento parlare ancora di comunismo?
Secondo noi sì. La prima ragione è la più semplice: il partito comunista italiano è stato, nel corso di questo secolo, l’immagine concreta di una lotta per la redenzione degli oppressi, per la tutela degli sfruttati, per l’emancipazione del mondo del lavoro. E questa lotta di emancipazione si è strettamente unita alla difesa concreta della libertà , in una società segnata non solo da una vita democratica continuamente minacciata e colpita, persino da poteri occulti insediati nel cuore dello Stato. Ma questo grande patrimonio che conta (perché la memoria storica è parte essenziale della vita collettiva e del suo ethos) non basta ancora a motivare la forza di questo nome oggi. Vi sono altre ragioni di forte attualità .
Sta sviluppandosi – proprio nelle società contemporanee – un bisogno di beni, che non sono quantificabili con il metro del denaro, e non sono misurabili con il criterio del mercato. Sono bisogni di comunicazione umana diretta. Sono esigenze di affettività . Sono volontà di prestazioni gratuite e di sedi in cui esse possano realizzarsi. Sono infine domande di liberazione da un lavoro colpito da nuove e peculiari forme di alienazione, e bisogno di restituire al lavoro una creatività , e al tempo di vita una autonomia. Questi bisogni non possono trovare risposta nemmeno in una crescita della giustizia e del processo di uguaglianza, perché vanno al di là delle stesse garanzie di equità , che possono esistere in una società che definiamo socialista.
Tenere aperto allora l’orizzonte del comunismo significa mettere in discussione alcuni radicati criteri di valore: prima di tutto questa così tenace (così continuamente ripetuta, così impressa nella società contemporanea ) classificazione tra ‘forti’ e ‘deboli’ vuol dire tenere aperto il sospetto che i ‘deboli’ possono avere in sé una straordinaria risorsa sepolta, che i ‘forti’ non hanno. Guardare a questo orizzonte quindi aiuta molto a comprendere il significato profondo della ‘differenza femminile’, e i mondi compressi e soffocati che possono scaturire dai ‘continenti della fame’, da una parte così grande del genere umano. Continue reading Pietro Ingrao: Tenere aperto l’orizzonte del comunismo (1989)