Angela Davis ha partecipato il 19 giugno alla manifestazione al porto di Oakland in California dell’ILWU, il mitico sindacato dei portuali della Costa Occidentale che ha indetto uno sciopero di tutti i porti da Vancouver a San Diego per il Juneteenth, la giornata in cui si celebra la fine della schiavitù, in appoggio al movimento Black Lives Matter. Ho tradotto l’intervento di Angela Davis che ha ringraziato l’ILWU per la sua lunga storia e il presente impegno nella lotta contro il capitalismo razzista. Il sindacato diretto per decenni dal comunista Harry Bridges è anche entrato nella letteratura italiana, citato da Italo Calvino in Un’ottimista in America e più di recente da Valerio Evangelisti nel romanzo One Big Union. A Harry Bridges dedicarono una ballad Pete Seeger e Woody Guthrie. Fu iscritto all’ILWU anche Kerouac quando faceva il marinaio comunista e non a caso lo cita nei suoi blues. Angela Davis elenca i meriti di questo storico sindacato a cui aggiungerei di essere stato uno dei pochi a schierarsi negli anni ’60 contro la guerra del Vietnam. Lo slogan dell’ILWUÂ
Felice Juneteenth a tutti.
Siamo ancora sulla lunga strada verso la libertà . Ogni volta che l’ILWU prende posizione, il mondo ne sente i riverberi. Un potente collettivo grazie alla International Longshore and warehouse Union.
Ricordiamo la vostra posizione contro l’internamento dei giapponesi-americani negli anni ’40, applaudiamo al fatto che siete stati schierati dalla parte di Martin Luther King e degli attivisti per i diritti civili negli anni ’60, sappiamo che avete radicalizzato la lotta contro l’apartheid sudafricano negli anni ’80. Vi ringraziamo per il sostegno a Mumia Abu-Jamal, per la solidarietà con il movimento anticapitalista Occupy e per il vostro clamoroso no allo stato razzista di Israele e per la vostra espressione di solidarietà con coloro che chiedono giustizia in Palestina. L’altro giorno stavo pensando che se non avessi scelto di diventare un professore universitario, la mia successiva scelta sarebbe stata probabilmente quella di diventare un lavoratore portuale o un addetto al magazzino al fine di essere un membro dell’unione più radicale del paese, l’ILWU. Grazie per tutti i contributi alle nostre lotte contro il razzismo e il capitalismo, contro il capitalismo razziale e soprattutto ora per aver parlato contro i brutali assassini razzisti di George Floyd, Breonna Taylor, Ahmaud Arbery, Rayshard Brooks e molti altri le cui vite sono state interrotte dalla strutturale violenza del razzismo. Grazie per aver chiuso i porti oggi, per il Juneteenth, il giorno in cui celebriamo la fine della schiavitù, il giorno in cui commemoriamo coloro che ci hanno offerto la speranza per il futuro e il giorno in cui rinnoviamo l’impegno nella lotta per la libertà . Grazie ILWU per aver chiuso i porti della costa occidentale oggi. Rappresentate la potenzialità e il potere del movimento operaio. Speriamo che questa azione influenzi gli altri sindacati a rialzarsi e dire no al razzismo e sì all’abolizione della polizia come la conosciamo sì a reinventare il significato di pubblica sicurezza.
Del film “Il giovane Marx” mi ha entusiasmato la parte finale con Like a rolling stone di Bob Dylan (la mia canzone preferita di sempre) e il montaggio di immagini che raccontano più di 150 anni di contraddizioni del capitalismo e di comunismi. In quel minuto e quaranta secondi c’è ben riassunto che cos’è stato “il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente”. Su fb Riccardo Bellofiore ha segnalato una mini recensione di Michael Heinrich studioso e biografo di Marx che mi son tradotto con l’aiuto del dott.Google (le armi i proletari le hanno prese sempre dagli arsenali della borghesia, scriveva Tronti in Operai e capitale). Lo studioso precisa che il regista Raul Peck si è preso qualche libertà narrativa ma questo credo sia inevitabile nel fare cinema. D’altronde i film non possono sostituire i libri ma possono far venire la voglia di leggerli. Magari andando oltre quel capolavoro politico, teorico, storico e letterario che è Il Manifesto*.Â
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Questo è un film molto professionale realizzato da un regista di sinistra (Raul Peck), con attori piuttosto bravi. Copre il periodo tra il 1842, quando Marx era il caporedattore della Rheinische Zeitung e l’inizio del 1848, quando il “Manifesto comunista” era completato. Il film si concentra non solo sull’amicizia tra due giovani le cui teorie divennero in seguito enormemente influenti, Karl Marx e Frederick Engels; considera anche le relazioni di questi due uomini con le loro compagne, Jenny von Westphalen e Mary Burns, e il ruolo importante che queste donne hanno svolto. Rispetto ad alcune produzioni più vecchie dell’Unione Sovietica e della Germania dell’Est, questo film è molto meglio sotto tutti gli aspetti.
Tuttavia, “Il giovane Karl Marx” non è un documentario. I fatti grezzi sono corretti: che Marx ha curato un giornale a Colonia; che andò a Parigi, dove conobbe Proudhon e dove iniziò la sua amicizia con Engels; e che Marx ed Engels divennero influenti nella “Lega dei comunisti”.
* Purtroppo i libri di Michael Heinrich non sono tradotti in italiano ma segnalo in rete Rileggendo Marx: nuovi testi e nuove prospettive.    A proposito della rivoluzione e della trasformazione sociale nel corso della sua vita Marx sviluppò la sua visione ben oltre il modello proposto nel 1848. Basta leggere il discorso tenuto a Amsterdam nel 1872 ai tempi della Prima Internazionale. Una bella biografia intellettuale e politica della seconda parte della vita di Marx è quella uscita di recente di Marcello Musto. Nella nostra biblioteca on line trovate un bel pò di testi su Marx e non solo.
Il 25 aprile in tv Massimo Gramellini ha tenuto a farci sapere che “i fratelli Cervi non erano comunisti” senza essere smentito da una precisazione del suo ospite Veltroni. Pensare che in un editoriale domenicale sulla prima pagina dell’Unità nell’ottobre 1958 Pietro Ingrao consigliava a Fanfani di leggere il libro di papà Cervi per capire il radicamento del partito comunista in Italia. E’ noto che il PCI moltò si impegnò nel far conoscere la storia della famiglia Cervi. Si trattava di un lavoro politico culturale fondamentale perchè negli anni ’50 la memoria e il valore della Resistenza andavano difesi. Di recente sono state aperte anche polemiche storiche rispetto a una presunta strumentalizzazione da parte del PCI (a tal proposito condivido il giudizio di Gianni Barbacetto) che era partita nel 1954 con un articolo di Italo Calvino sul quotidiano comunista che colpì profondamente Piero Calamandrei che dedicò ai sette fratelli un discorso bellissimo pubblicato nel suo libro “Uomini e città della Resistenza”. Ci sono stati anche tentativo di riscriverla la storia ribaltandola – i Cervi presentati come quelli che non volevano combattere mentre in realtà Aldo aveva criticato la prudenza organizzativa dei dirigenti emiliani. A Gramellini consiglierei anche il libro più recente di Adelmo, figlio del comunista Aldo Cervi, “Io che conosco il tuo cuore” scritto con Giovanni Zucca. Adelmo era stato invitato alla trasmissione di Gramellini ma poi all’ultimo momento gli hanno comunicato non c’era spazio. Gramellini dovrebbe chiedere due volte scusa e farsi raccontare la storia da chi la conosce.Â
Ecco un libro da consigliare all’on. Fanfani. Non lo diciamo per malizia. Si tratta del racconto che il vecchio Cervi ha fatto della storia dei suoi figli. Molti fra i lettori dell Unità ricorderanno ancora la celebrazione che della vita e della morte dei Cervi fece Piero Calamandrei, in un discorso tenuto a Roma anni or sono. Non credo si tolga nulla a quella splendida rievocazione, se si dice che questo racconto di papà Cervi precisa ciò che in quel discorso veniva assunto nella luce lontana e misteriosa della leggenda. Ancora in questi giorni Gaetano Salvemini, nella prefazione ad un altro libro di ricordi sugli anni della Resistenza, ha parlato dei «miracoli» e delle sorprese di cui sarebbe capace il popolo italiano. Il libro di papà Cervi toglie il velo al «miracolo» dei sette fratelli. Continue reading Pietro Ingrao: Il miracolo dei 7 fratelli
Dopo Veltroni anche Carlo Calenda cerca di appropriarsi di Carlo Rosselli presentandolo come riferimento del suo Azione, “partito” confindustriale e neoliberista. L’ennesima appropriazione indebita di un socialista assai radicale. Quel che colpisce del decaffeinamento dell’eredità di Giustizia e Libertà è il fatto che vada avanti da anni pur in palese in contrasto con il percorso di Rosselli. Al massimo questi signori hanno letto Socialismo liberale e là si sono fermati. Per Rosselli vale quello che Chomsky ha scritto su Bertrand Russell e Dewey: “I principi fondamentali del liberalismo classico trovano la loro naturale espressione moderna non nel dogma neoliberista, ma nei movimenti indipendenti dei lavoratori, nonché nelle idee e nell’azione di quel socialismo libertario espresso talvolta anche da grandi esponenti del pensiero del Novecento, come Bertrand Russel e John Dewey”. Vi ripropongo un brano a me molto caro che andrebbe citato in un manifesto di una futura soggettività unitaria e plurale della sinistra radicale italiana.
“Giustizia e Libertà” è un movimento politico nuovo senza riscontro nella geografia politica tradizionale. È l’unico tra i movimenti antifascisti sorti nel corso della lotta contro il fascismo che sia riuscito ad affermarsi stabilmente. [….] Essenzialmente quel che essa porta di nuovo è una coscienza più chiara di ciò che sia il fascismo, di ciò che il fascismo significhi nella vita contemporanea non solo sul piano dei valori politici, ma dei valori umani; assieme ai modi più efficaci per combatterlo e sradicarlo. “Giustizia e Libertà” si potrebbe definire come il primo movimento europeo integralmente antifascista, perché nel fascismo vede il fatto centrale, la novità tremenda del nostro tempo, e perchè la sua opposizione deriva non già da una difesa di posizioni precedentemente acquisite [….] ma da una volontà di liberazione che si sprigiona dallo stesso mondo fascista e dalla concreta esperienza di lotta. Continue reading Carlo Rosselli, Per l’unificazione politica del proletariato italiano
Ho ricevuto via mail il giornale IL LAVORATORE della federazione di Rifondazione di Trieste e ho letto la notizia della scomparsa di Paolo Hlacia e gli articoli in sua memoria di Sergio Bologna e Matteo Gaddi. Paolo l’ho conosciuto dopo la rivolta di Seattle (1999). Avevo scritto una lettera a Liberazione, il quotidiano di Rifondazione, che a lui era piaciuta molto e che aveva riprodotto sulla prima pagina di un giornale che faceva a Trieste. Mi aveva rintracciato per complimentarsi ed esprimere il suo apprezzamento. Entrò in rapporto con noi di Rifondazione di Pescara nutrendo molte affinità con me e Lorenzo Calamosca in particolare l’internità ai movimenti, l’interesse per la tradizione dell’operaismo italiano (in particolare proprio i lavori di Sergio Bologna) e varie altre cose come l’inchiesta di cui si occupava nel PRC di Trieste. Lo sorprendeva che la nostra federazione fosse diretta da comunisti irregolari amici di Primo Moroni. Aderì con entusiasmo al Cantiere sociale su lavoro/non lavoro che organizzammo a Pescara nel febbraio 2001 con il giornale CARTA che all’epoca svolgeva un ruolo fondamentale di connessione tra settori di movimento e sinistra politica (in particolare Rifondazione). Fu una delle occasioni di incontro che precedettero Genova 2001 e per noi che eravamo fortemente convinti della necessità di costruire anche in Italia una coalizione simile a quella che aveva contestato WTO a Seattle ci sembrava essenziale radicarla su un terreno sociale e non solo etico. Noi pescaresi eravamo stati insieme ai veneziani i primi nel 1999 a presentare in un congresso del PRC la proposta di inserire il reddito nella piattaforma del partito. Con il cantiere ci proponevamo – con la nostra identità ibrida di partito ma anche di movimento, radio e social forum – di creare un terreno di elaborazione e azione unitaria superando contrapposizione tra la rivendicazione di reddito e quelle per/sul lavoro. Paolo Hlacia fu tra i primi a aderire e uno dei circa duecento compagni che vennero da tutta Italia molto contento dell’iniziativa a cui parteciparono Fumagalli, Revelli, Ferrero, Rieser, Gianni, Perini, Cacciari, Sullo, Caruso, Caccia e tantissimi altri. Ne sopravvive in rete solo questo resoconto uscito sul Manifesto. Negli ultimi anni non avevo avuto più notizie di Paolo. Lo saluto a pugno chiuso. Continue reading IN RICORDO DI PAOLO HLACIA