Community

Already a member?
Login using Facebook:
Powered by Sociable!

Archivi

Trump non la conta giusta. E’ il capitalismo USA ad aver voluto la globalizzazione neoliberista

Trump con i dazi scarica sul resto del mondo la responsabilità della de-industrializzazione degli Stati Uniti. Come al solito i fascisti dirottano sul nazionalismo il malcontento che suscitano le contraddizioni del capitalismo. Invece di prendersela con i loro capitalisti i proletari statunitensi bianchi vengono spinti a prendersela da un lato con gli immigrati, la cultura woke, le minoranze sessuali e ovviamente dall’altro con gli altri paesi capitalistici che farebbero concorrenza sleale. 

Trump e l’ultradestra attaccano il globalismo come se fosse un’invenzione della sinistra radicale e dei marxisti, degli europei o dei cinesi, dei canadesi o dei giapponesi, degli indiani o dei messicani. In realtà la globalizzazione  è stata portata avanti dalle élite capitaliste USA a partire dalla fine degli anni ’70 come risposta alla forza delle classi lavoratrici e popolari dell’Occidente. Questa controrivoluzione fu un progetto politico, come insegna David Harvey, che si affermò con la vittoria del presidente repubblicano Ronald Reagan e con quella di poco precedente di Margareth Thatcher in Gran Bretagna. Se gli operai negli USA o in Europa avevano conquistato una forza contrattuale difficilmente aggirabile, se le classi popolari rivendicavano un sempre più alto livello di welfare da finanziare con una tassazione più alta dei capitali e dei patrimoni, se gli Stati intervenivano sempre più regolando la sfera economica limitando il potere del capitale per la classe miliardaria si era di fronte alla “crisi della democrazia”, come titolava il famigerato rapporto della Commissione Trilateral. E quindi bisognava delocalizzare le produzioni all’estero e liberare il capitale dai lacci e lacciuoli degli Stati nazionali troppo condizionati dai partiti di sinistra, dei sindacati e dei movimenti sociali.

In seguito anche i Democratici si adeguarono con il clintonismo. Dopo aver resistito negli anni ’80 con il crollo del Muro anche le socialdemocrazie europee si adeguarono raggiungendo la totale assunzione di quella logica con Blair e Schroeder. Dal 1991 la Russia e i paesi dell’Europa orientale furono definitivamente integrati nell’economia globale con terapie shock di privatizzazione.  Continue reading Trump non la conta giusta. E’ il capitalismo USA ad aver voluto la globalizzazione neoliberista

John Bellamy Foster: La classe dominante statunitense e il regime di Trump

Nell’ultimo secolo il capitalismo statunitense ha avuto senza dubbio la classe dirigente più potente e con più coscienza di classe nella storia del mondo, controllando sia l’economia che lo Stato e proiettando la sua egemonia sia a livello nazionale che globale. Al centro del suo dominio ha avuto un apparato ideologico che ha insistito sul fatto che l’immenso potere economico della classe capitalista non si traduce in una governance politica e che, a prescindere dalla polarizzazione della società statunitense in termini economici, le sue pretese di democrazia rimangono intatte. Secondo l’ideologia ricevuta, gli interessi ultra-ricchi che governano il mercato non governano lo Stato, una separazione cruciale per l’idea di democrazia liberale. Questa ideologia dominante, tuttavia, si sta ora sgretolando di fronte alla crisi strutturale del capitalismo statunitense e mondiale e al declino dello stesso Stato liberaldemocratico, portando a profonde spaccature nella classe dominante e a una nuova dominazione apertamente capitalista dello Stato da parte della destra.

Nel suo discorso di addio alla nazione, pochi giorni prima che Donald Trump tornasse trionfalmente alla Casa Bianca, il presidente Joe Biden ha denunciato che una “oligarchia” basata sul settore dell’alta tecnologia e che si affida sul “dark money” in politica sta minacciando la democrazia degli Stati Uniti. Il senatore Bernie Sanders, nel frattempo, ha messo in guardia dagli effetti della concentrazione della ricchezza e del potere in una nuova egemonia della “classe dominante” e dall’abbandono di qualsiasi traccia di sostegno della classe lavoratrice in ognuno dei principali partiti.1 Continue reading John Bellamy Foster: La classe dominante statunitense e il regime di Trump

Lenin: Lettera agli operai e ai contadini dell’Ucraina. A proposito delle vittorie su Denikin (1920)

VI Lenin, Lettera agli operai e ai contadini dell’Ucraina. A proposito delle vittorie su Denikin. Redatta il 28 dicembre 1919 e pubblicata sulla Pravda n. 3; 4 gennaio 1920.
Compagni, quattro mesi fa, verso la fine di agosto 1919, ebbi occasione di indirizzare una lettera agli operai e ai contadini in relazione alla vittoria su Kolciak.
Ora sto facendo ristampare per intero questa lettera per gli operai e i contadini dell’Ucraina in relazione alle vittorie su Denikin.
Le truppe rosse hanno preso Kiev, Poltava e Kharkov e stanno avanzando vittoriosamente su Rostov. L’Ucraina ribolle di rivolta contro Denikin. Tutte le forze devono radunarsi per la disfatta finale dell’esercito di Denikin, che ha cercato di ripristinare il potere dei proprietari terrieri e dei capitalisti. Dobbiamo distruggere Denikin per salvaguardarci anche dalla minima possibilità  di una nuova invasione.
Gli operai e i contadini dell’Ucraina dovrebbero familiarizzare con tutti gli insegnamenti che gli operai e i contadini russi hanno tratto dall’esperienza della conquista della Siberia da parte di Kolciak e della sua liberazione da parte delle truppe rosse dopo i lunghi mesi trascorsi sotto il giogo dei grandi proprietari terrieri ee dei capitalisti.
Il governo di Denikin in Ucraina è stato un duro calvario come lo è stato il governo di Kolchak in Siberia. Non c’è dubbio che le lezioni di questa dura prova daranno agli operai e ai contadini ucraini – come hanno fatto con gli operai e i contadini degli Urali e della Siberia – una comprensione più chiara dei compiti del potere sovietico e li indurranno a difenderlo più strenuamente.

Continue reading Lenin: Lettera agli operai e ai contadini dell’Ucraina. A proposito delle vittorie su Denikin (1920)

Il prigioniero politico russo Boris Kagarlitsky sull’asse Mosca-Washington

Questa lettera è stata inviata da Boris Kagarlitsky il 19 febbraio dalla colonia penale di Torzhok, in Russia, dove sta scontando una condanna a cinque anni e mezzo per “giustificazione del terrorismo” per la sua opposizione alla guerra. Questa lettera è stata scritta prima dell’incontro-scontro tra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Tuttavia, mi sembra importante leggere il punto di vista di un marxista russo per comprendere cosa sta accadendo oggi. Segue lettera del 2 febbraio sui negoziati di pace. Di Boris Kagarlitsy Castelvecchi editore ha pubblicato l’anno scorso il libro “La lunga ritirata. Per la rinascita del socialismo in Europa

Dopo che la televisione ha annunciato che ora ci saremmo schierati con gli Stati Uniti contro l’Europa, è sorta una certa confusione tra i detenuti della prigione IK-4. I più colti tra loro si sono precipitati in biblioteca per richiedere 1984 di George Orwell. Si è formata rapidamente una coda.

In realtà, comprendere la logica di questi eventi non è difficile. L’élite al potere in Russia ha disperatamente bisogno del supporto dell’amministrazione di Donald Trump per uscire dalla situazione senza uscita che ha creato. Il problema è che il prezzo di questa assistenza potrebbe rivelarsi proibitivo.

Continue reading Il prigioniero politico russo Boris Kagarlitsky sull’asse Mosca-Washington

Anatol Lieven: L’amministrazione Trump, i democratici e il processo di pace in Ucraina. Le sfide future.

Ho tradotto da The Nation Magazine, la storica rivista progressista statunitense, questo articolo di Anatol Lieven del 20 febbraio scorso. Dopo lo scontro verbale alla Casa Bianca tra la coppia Trump – Vance e Zelensky questo articolo offre qualche chiave di lettura interessante. The Nation è schierata contro Trump ma sulla guerra in Ucraina, e in generale la strategia verso la Russia, ha sempre criticato i Democratici. In questa fase bisogna ragionare e approfondire quindi socializzo questa analisi. 
L’amministrazione Trump ha fatto una mossa iniziale sensata nel processo di pace in Ucraina. È stato chiaro da tempo che, poiché la Russia ha il sopravvento nella guerra, avrebbe avviato colloqui seri solo se fossero state soddisfatte le sue condizioni più basilari. Nel suo discorso a Monaco, il Segretario alla Difesa Pete Hegseth ha stabilito tali condizioni: nessuna adesione alla NATO per l’Ucraina, nessuna truppa statunitense in Ucraina e nessuna garanzia militare statunitense per le truppe dell’UE in Ucraina.
Hegseth è stato accusato (anche da alcuni diplomatici professionisti sensati) di aver presumibilmente dato via troppo in anticipo. Tuttavia, la sfiducia russa nelle promesse degli Stati Uniti è così profonda che solo una chiara dichiarazione pubblica avrebbe aperto la strada a colloqui seri. Ed è importante che i colloqui procedano con la massima velocità deliberata; perché il tempo non è dalla parte dell’Ucraina. Un accordo di pace tra un anno o due anni non produrrà un risultato migliore per l’Ucraina. Potrebbe produrne uno catastroficamente peggiore. E ciò che è certo, sebbene questo sembri di notevole poca importanza per molti “umanitari” occidentali, è che decine o centinaia di migliaia di persone in più saranno morte.
Inoltre, Hegseth ha solo dichiarato pubblicamente ciò che l’amministrazione Biden avrebbe dovuto riconoscere da tempo: che poiché Biden ha ripetutamente dichiarato che non avrebbe inviato truppe statunitensi a combattere per difendere l’Ucraina, l’offerta di un’ipotetica adesione alla NATO è sempre stata di fatto una bugia. L’affermazione di Hegseth secondo cui l’Ucraina non avrebbe potuto riconquistare militarmente i suoi territori perduti riconosce semplicemente una realtà che è stata ovvia a tutti gli analisti militari seri per più di un anno, dal completo fallimento dell’offensiva militare ucraina nel 2023.
L’amministrazione Trump ha anche ragione a escludere gli ucraini e gli europei dai colloqui iniziali, ma non da quelli successivi.
Ci sono tre motivi per cui i primi round di colloqui dovrebbero essere tra Stati Uniti e Russia.

Continue reading Anatol Lieven: L’amministrazione Trump, i democratici e il processo di pace in Ucraina. Le sfide future.