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Primo Moroni si raccontava così…

Intervento di PRIMO MORONI: Pescara 6 settembre 1996

nell’estate del 1995 invitammo Primo Moroni a Pescara alla festa di liberazione per una lezione sul postfordismo. Fu una bellissima serata. L’anno dopo gli chiedemmo il bis e Primo non si fece desiderare. Il titolo del dibattito era “La sinistra antagonista nell’Italia dell’Ulivo”, gli altri interlocutori erano il sottoscritto, Paolo Ferrero e Sandro Medici. Primo andò apparentemente fuori tema, ma solo apparentemente…ci raccontò la sua storia di comunista irregolare. Eccovi la trascrizione del racconto di Primo.

Io [come ho già detto l’anno scorso] sono in un centro sociale in un quartiere che un tempo era totalmente rosso, anzi eccessivamente rosso secondo i questori del tempo, e anche secondo il dottor Spataro, che è un magistrato milanese che periodicamente, anche qualche mese

fa, è convinto che debba avere un colloquio con me, ogni tanto. Cioè, ci incontriamo e lui mi dice “cosa sta facendo?” “mah!”, io dico: “quello che ho sempre fatto negli ultimi vent’anni”. Lui è un tipo… un atleta, gioca a tennis, fa nuoto, è un centravanti della nazionale di calcio dei magistrati, è un bel tipo. È sempre molto abbronzato, non con le lampade perché sono nocive, ma in luoghi… Ha preso un numero della rivista dell’Autonomia Operaia degli anni del ‘75-’76, si chiamava “Rosso”, con cui peraltro io ero in dissenso, ma non perché era violenta, ma perché a volte vi si scrivevano delle stronzate, secondo me. E dopo i fatti di Bologna, su quella rivista è venuta fuori una testata a tutta pagina dove
c’erano degli autonomi con le solite chiavi inglesi, qualche arma e c’era scritto sopra: “avete pagato caro, non avete pagato tutto”. E allora il signor Spataro ha preso questa rivista che era molto grande, l’ha messa sotto un plexiglas, sotto quelli che si comprano e l’ha attaccata dietro di sé alla scrivania.
Quindi quando ti siedi vedi scritto davanti: “avete pagato caro, non avete pagato tutto”, ed è una cosa molto ironica. Un personaggio così, come altri del Tribunale di Milano che pure hanno svolto un compito interessante di distruzione di una vecchia classe politica, come dire,interessante e a volte contraddittorio.
Una volta mi son trovato angosciato, io sto dalle parti di Corso XXII Marzo, quindi per andare a lavoro devo passare davanti al Palazzo di Giustizia. Una sera ho trovato una manifestazione in difesa di Di Pietro dove c’erano un po’ tutti, c’era la Lega da un lato, Rifondazione dall’altro, c’era il PDS dall’altro, c’era Alleanza Nazionale dall’altro. Mi sono preoccupato, perché mi sono ricordato di qualche confusione del genere che raccontava negli Scritti scelti un grande comunista eretico consiliare che si chiamava Karl Korsch. Perché un po’ di confusione a volte si forma in alcune transizioni, ho detto ma perché cazz…!?, ma perché avviene questa vicenda che questi … ?, io capisco che la magistratura svolge il suo compito, fa fuori dei corrotti, ma non può essere un elemento dello scontro politico generale, non può essere l’elemento su cui investiamo il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, anche perché mi sembra eccessivo.
Sono un vecchio estremista – sono vecchio perché recentemente ho compiuto sessant’anni e i ragazzi del centro sociale mi hanno regalato un telefonino, che si è rivelato un costo … ho fatto il contratto business,sono arrivato a £ 700.000 come prima bolletta, e questo regalo si è tramutato in un carico di costi terrificante – e [quindi] questa opposizione nei confronti dell’organo esecutivo dello Stato, devo dire che non è vero che l’ho imparata dagli estremisti nel corso degli anni Settanta.
Sono stato dodici anni nel Partito Comunista, dal 1951 al 1963. Ho avuto come grande maestra che ho amato e desiderato come tutti i giovani milanesi alla “Casa della Cultura” , la Rossana Rossanda. Lo dico perché era molto bella, aveva dei golfini cachemire e parlava benissimo e ci ha insegnato un mucchio di cose, ma il fatto che aveva il golfino di cachemire poteva per noi proletari di strada: … dico…. io faccio una digressione personale: io a 12 anni sono stato espulso da tutte le scuole perché sono stato considerato gravemente ritardato, e allora io facevo…, ero figlio di contadini immigrati toscani, lavoravo all’OM, in un corso di avviamento professionale e si faceva il capolavoro. Capolavoro era un pezzetto di ferro che bisognava limare e poi farlo diventare perfetto in tutte le sue parti col calibro, col compasso … ho lavorato tre mesi poi l’ho portato al professore, lui ha detto: “perfetto, ti do otto”, poi ha dato tre martellate sopra questo pezzo di ferro lavorato e ha detto “ricomincia da capo”. A me è sembrata una cosa di disciplinamento, e ho dato una martellata sulla mano del maestro e gli ho fracassato la mano perché mi sembrava insopportabile questo non rispetto per un lavoro di tre mesi che avevo fatto, ma che cazzo, io ho fatto questo lavoro qua, due volte l’ho sbagliato alla fine la terza me l’hai fatto perfettamente e tu me lo spacchi. E ho capito però in quel momento, ho avuto un’intuizione, che mi sembrava che un disciplinamento eccessivo all’ideologia produttiva fosse una cosa insopportabile perché questo voleva dire imparare a sopportare eccessivamente la figura del caporeparto e da lì è iniziata la mia crisi con il Partito Comunista, una crisi probabilmente sull’ideologia del lavoro, intendo dire.

E allora successivamente [quando c’è stata] come molti insomma della mia generazione se dovessi fare una cosa di autogratificazione dovrei dire che io ero uno come molti altri detti dei giovani delle magliette a righe. Ho fatto il Luglio ’60, siamo andati a Genova, i nostri commissari politici e i segretari di sezione hanno detto: “c’è il Movimento Sociale che fa un congresso a Genova, città Medaglia d’Oro della Resistenza, è insopportabile, c’è il governo Tambroni, bisogna andare là e impedirlo. Oh siamo partiti di notte con questi vecchi comunisti delle fabbriche milanesi, siamo andati a Genova e abbiamo combinato un casino. Cioè,nel senso che erano anni che le prendevamo sulle piazze, gli abbiamo dato una lezione memorabile alla polizia, ci sembrava una cosa molto corretta. Il fatto delle magliette a righe era che faceva un caldo della madonna perché era luglio e al porto vendevano solo queste cazzo di magliette a righe rosse o blu, c’erano solo quelle, e tutti quanti abbiamo
comprato queste magliette, per cui siamo passati alla storia come i giovani dalle magliette a righe. Non era come l’eskimo negli anni  Settanta che era un divisa che riconosceva, è che c’erano solo quelle lì al porto … e c’è stato un momento che c’erano questi partigiani delle formazioni liguri che si muovevano benissimo sulla piazza, noi eravamo giovanissimi, e che hanno/abbiamo sequestrato in vicolo del Fondaco vicino a un cesso – c’era un cesso pubblico con scritta al neon che era uno dei primi elementi di modernizzazione del boom economico – hanno sequestrato dieci carabinieri, gli hanno sequestrato i moschetti, avevano
le armi questi compagni comunisti partigiani ma non è che le hanno usate, le hanno semplicemente usate come un deterrente, no?
Hanno preso ‘sti carabinieri, cazzo è la rivoluzione! Un fatto così non l’avevamo mai visto in tutti gli anni Cinquanta e invece poi abbiamo fatto una trattativa sulla Piazza dei Ferrari che salita del Fondaco poi porta in Piazza dei Ferrari, abbiamo consegnato i carabinieri all’altra controparte, loro ci hanno consegnato un po’ di altri che erano stati
arrestati eppoi è arrivato Pajetta ha fatto un comizio straordinario devo dire la rivoluzione, cioè abbiamo vinto, Tambroni è caduto, tornate a casa e noi ci siamo girati un po’ le palle. Quindi non solo il fatto del parallelepipedo di ferro che mi ha messo un po’ in crisi, mi sembrava che ci fosse …. quindi sono diventato estremista. Successivamente ho
conosciuto questi grandi professori dei Quaderni Rossi …. Voglio dire ho fatto tante cose che alla fine a un certo momento sul problema dell’identità comunista già negli anni Settanta avevo qualche dubbio che diavolo fossi, perché i comunisti a un certo punto dicevano che eravamo dei provocatori, quelli di Lotta Continua che eravamo dei cani sciolti che non si sapeva dove finivamo, quelli di Avanguardia Operaia non scherzavano, quelli del Movimento Studentesco hanno tentato di menarci un mucchio di volte. Quelli della Statale soprattutto, che erano poco democratici. Io poi andavo da Alberganti che era il segretario del Partito Comunista a Milano, gli dicevo: “ma Alberganti cazzo tu lavori con questi qua del Movimento Studentesco, questi qua pensano che son tutti provocatori fuorché loro non si capisce più nulla del modo di muoversi in questa città. A me sembra che questi anarchici dicano anche delle cose corrette, che alcuni spontaneisti, questi qua di Re Nudo, questi qua hippy, questi qua di Mondo Beat dicano delle cose che corrispondono a una fase matura del capitale che si può attuare. E invece voi dite no, non si può fare tutto questo, togliamo l’agibilità alla
Statale, non si possono fare gli spinelli”.
[interruzione]
Alla Columbia University stavano distruggendo le macchinette di Reich e anche i suoi libri li stavano incendiando e Bertrand Russell che è stato un leader del movimento per la pace, era un filosofo inglese che sembrava un santo perché era alto un metro e novanta, bianco di
capelli, era bellissimo quello e tutti i giovani inglesi avevano: “fate l’amore, non fate la guerra” scritto sopra i manifesti questi qui dico fanno una cosa importante che ci dà coscienza, e Alberganti: “ha detto il compagno Alicata – abbiamo fatto una riunione c’era anche Giovanni Cesareo che è un mio carissimo amico che è ancora in giro adesso – e Alicata ha detto sì bisogna occuparsi di Reich… per distruggerlo! Sì è vero di Reich i comunisti devono occuparsi: bisogna distruggerlo!”
E allora lì ho avuto un po’ di confusione, e la confusione è durata per tutti gli anni Sessanta tant’è che sono diventato un grande manager dell’editoria, ero qui a Pescara come dirigente dicevo l’anno scorso, sono diventato un direttore generale dell’Antonio Vallardi Editore. Quindi mi hanno dato una Maserati Ghibli, costava una cifra, faceva 3 Km con un litro e però il mio padrone, che era quasi nobile, mi diceva: “tu sei un dirigente, devi andare in giro con la Maserati, questa qui costa un occhio della testa, mica la paghi tu, la pago io, è vero che devo avere stile, la rappresentanza ma me la paga la ditta? Eppoi devi andare da sarto Tosi e farti fare il Principe di Galles, prendere le scarpe da Fragiacomo”, ma dico, ma cazzo!

E allora ho preso un attico a San Siro, ma a me piaceva stare nel Ticinese, nelle case di ringhiera, ero nostalgico … si stava meglio nell’attico devo dire però insomma … E quindi ho avuto questa grande confusione e ho fatto il ’68 dentro questa confusione che non sapevo
più se dovevo essere un beat, … ho conosciuto Ferlinghetti infatti la mia libreria si chiamava “City Lights” perché Ferlinghetti c’ha una libreria “City Lights” a San Francisco, è uno che ha i genitori, lui dice che abitano in un villaggio vicino Brescia….
Ho conosciuto Ferlinghetti, ha detto: “ma no qui bisogna fare una grande comunità generale…”

voglio dire ho fatto queste brevi note perché le storie soggettive dei comunisti… Riprendo un po’ l’argomento perché mi ha , devo dire che io Ferrero non lo conoscevo, ma mi è molto piaciuto, io ho un sospetto fortissimo nei confronti di Rifondazione Comunista, ho una specie di elemento di difesa che si è formato nel corso del tempo. Ho avuto un grande maestro che quando è morto ho pianto profondamente, si chiamava Mario Spinella, io l’ho amato e sono
stato culturalmente dipendente da lui per tanti anni, poi ho incontrato Sergio Bologna. Sono dipendente da Sergio Bologna, solo che lui non è così simpatico, è geniale, ma ha un carattere terribile. Una volta lo porteremo a Pescara, vi assicuro che è una persona affascinante a sentirla parlare, ma ha un carattere di merda, è difficile tenere i rapporti,
lo direi anche se ci fosse lui. Invece Spinella è una persona dolcissima, straordinaria, insegnava alle Frattocchie e a me che ero stato espulso da tutte le scuole in secondo avviamento professionale come ritardato, mi ha portato alla “Casa della Cultura”, c’era la Rossanda, c’era Banfi, c’era Remo Cantoni, Banfi padre, il filosofo, e mi hanno trasformato in un comunista e quasi in un intellettuale. Ricordo che si sono preoccupati i miei compagni di strada, io stavo in un vecchio quartiere milanese, la gran parte sono diventati gargan, i gargan sono gli sfruttatori della prostituzione, qualcuno ladro, qualcuno comunista.
Invece hanno detto quello lì non è più dei nostri, è diventato un intellettuale, cazzo legge Kafka, legge Joyce, anzi Occhetto gli ha detto di leggere… Occhetto era un giovane comunista, lo conoscete, Occhetto, che aveva preso questo libro di Joyce l’Ulisse, edizione
Medusa Mondadori, tradotto da De Angelis e una volta che siamo dovuti andare a Como a fare un dibattito ho detto “Occhetto, ma perché portiamo dietro questo libro?” – la Federazione del Partito era allora in Piazza XXV Aprile a Milano – “perché quelli di Como devono vedere che noi siamo un po’ diversi”. “Ma questo qui dico è strano perché porta dietro un libro, l’Ulisse?, vabbé che è un grande saggio sulla modernità, ma che cazzo c’entra se deve far vedere…”
E anche lì, anche questa figura fin da allora, sto parlando del ’62, Occhetto ’62 mi ha posto problemi col partito. Quindi la somma tra il pezzetto di ferro, luglio ’60 e l’Ulisse di Joyce rivisto da Occhetto mi ha fatto diventare estremista. Le origini sono lì [risata]. La Maserati no!
Perché io devo dire che fin dagli anni Sessanta ho pensato che questa teoria comunista rigida del partito che bisognava rinunciare ai consumi mi sembrava una stronzata… Quando mi dicevano in federazione, guarda gli operai si imborghesiscono perché prendono la Seicento,
perché prendono il televisore, ma che cazzo! È una cosa utile! Cioè si sta molto meglio ad esempio con la lavapiatti, con la lavatrice, con il frigorifero che con la ghiacciaia. Io avevo una ghiacciaia nel ’59 e passava quello che vendeva il ghiaccio e mettevo il ghiaccio, ma era un casino. Invece il frigorifero mi sembrava un’invenzione corretta, non mi sembrava che fosse un imborghesimento, un cedere alla borghesia,no?! Se l’operaio compra la Seicento per portare la moglie al mare mi va bene, il capitale a volte ha delle idee strane, forse quello là, Agnelli ha avuto un’idea, siccome faceva solo le 1.400 o l’Alfone 1.800, lo
stesso della polizia, lo compravano per i poliziotti, ma lo adoperavano anche tutti i malavitosi, era speculare, aveva carburante doppio corpo e chi andava più forte viaggiava, c’era sempre questo immaginario tra potere legale e potere extralegale che poi è proseguito nel tempo, aivoglia, vedi un po’ Lima, ci sono dei rapporti Andreotti-Lima, c’è sempre una specularità tra le due forme di innovazione del capitale o del potere.
Non ho mai pensato che la Maserati fosse…. Ho sempre pensato che un golf comprato all’Onestà dura quattro mesi e invece un golfino di cachemire, a parte che è molto più bello, dura 3 o 4 anni, basta avere le risorse per acquistarlo, non ho mai pensato che fosse….
“Quello lì si è messo un golf di cachemire!” Insomma, è un compagno cazzo, ha fatto benissimo. Per cui quando è comparsa la Rossanda con il golf di cachemire e il filo di perle, questa è una comunista corretta ho pensato. Non è una traditrice della classe, magari tutti potessimo avere il golf di cachemire, di Lensfool e il …. di perle, le scarpe su misura…

Lavoravo come chef di rang al “Don Lisander” a Milano, perché poi facevo i mestieri, dopo che mi hanno espulso dal tentativo di diventare un operaio professionale dicendo che ero scemo. Prima ho fatto il comin e poi lo chef di rang al “Don Lisander”. E mi stupivo sempre perché la borghesia portava queste cazzo di giacche con questa bellissime maniche di camicie bianche coi polsini che venivano sempre fuori dalla giacca. È molto bello se uno prende la sigaretta con il polsino della camicia che esce dalla giacca, è tutto un altro … e invece quelle
che compravo io nei negozi, la camicia rimaneva sempre sotto alla giacca, ma come cazzo fanno questi qui ad avere questa roba qua?
Non è che la borghesia è così intelligente che c’ha le braccia diverse, no? Non è possibile no? Allora un giorno a tavola ho chiesto vi giuro che è vero, veniva a mangiare da me Ripa di Meana che allora faceva il commesso alla Feltrinelli per hobby, è vero, è vero, Ripa di Meana
faceva il commesso alla Feltrinelli di via Masone per hobby e portava sempre a mangiare Luciano Bianciardi che è uno scrittore che io ho amato moltissimo che però è morto poi di cirrosi epatica, perché eccedeva leggermente nel bere come facciamo noi stasera, facciamo
altri tre dibattiti nel freddo, facciamo una fine …. e allora mi sembrava che Ripa di Meana che sembrava un cecoslovacco perché era tutto biondo con gli occhi azzurri elegantissimo e aveva anche una Java, una moto col sidecar con cui portava Bianciardi che non aveva mai una lira e faceva il traduttore per Feltrinelli. Io gli ho chiesto: “scusa senta dottor Ripa di Meana, ma queste camicie come…?” e lui ha detto: “ma come figlio mio si fanno fare su misura le camicie, non si comprano” … ma porc.! mi sembrava ovvio che noi proletari non capivamo mai un cazzo, ma come si comprano già fatte, si fanno fare su misura! Sono molto più
belle, aderiscono al corpo e poi si vede il polsino quando si… Allora ho fatto fare queste camicie su misura da un camiciaio, mi è costata una cifra e ho fatto un blazer blu e ho comprato le Muratti Salistone perché facevano nuance, pendant, facevano schifo le sigarette, ma era molto, molto…. e mi sono sentito finalmente emancipato dalla classe operaia.

Quindi sono tendenzialmente controrivoluzionario nei termini classici dell’appartenenza politica perché ho pensato che l’innovazione capitalistica potesse essere un terreno di confronto, di acquisizione, di redistribuzione del reddito tramite un conflitto, ma che non ci fosse una morale proletaria, che pure c’è nelle fabbriche, che pure avevo conosciuto, che fosse quella della penuria, di una società della penuria, ma di una società dell’accesso ai saperi, alla bellezza della vita e anche alla bellezza del vestire. Devo dire che le donne sono bellissime, hanno tormentato la vita di tutti i comunisti, parlo soggettivamente e per
estensione collettiva, magari non è vero però a me per esempio che sono stato sempre comunista anche se irregolare mi hanno sempre affascinato.
Ho quattro figlie da quattro donne diverse, mi hanno sempre lasciato loro. Vuol dire che sono impreparato al rapporto di coppia evidentemente, però certamente ogni volta è un investimento che cambia la tua vita, il tuo mondo, lo senti come responsabilità e come colpa e vuoi acquisire tutto quello che è il sapere dell’avversario per rovesciarglielo contro, non lontano dal sapere dell’avversario. Per cui quando alla fine degli anni Sessanta dopo avere investito ho smesso di fare il dirigente della grande casa editrice, la Maserati Ghibli e sono andato in Mondo Beat che era esattamente l’opposto abbiamo fatto una comune reichiana sexpol in via San Maurilio a Milano che non ha funzionato perché eravamo tutti uomini evidentemente c’era qualche problema di realizzazione del percorso e successivamente pur avendo abbandonato un posto prestigioso che venendo dal proletariato e non avendo titolo di studio e anche la Maserati Ghibli che mi è costato un po’ abbandonarla devo dire passando ad una Seicento scassata, ho aperto una libreria e da lì in avanti ho continuamente pensato che non c’era mai un momento di arrestarsi nel modo di pensare e trasformare se stesso per capire il mondo e quanti e così forti erano i saperi dell’avversario e i saperi dell’avversario sono i saperi che formavano anche l’universo di appartenenza dello scontro di classe e che tu gli
contrapponevi altrettanti e speculari e altrettanto importanti paradigmi contraddittori. Intendo dire che non è mai stato quel conflitto, sia pure assicurato, come correttamente ha raccontato Ferrone, un concentrarsi delle classi, del movimento studentesco, degli operai nei confronti del dominio capitalistico semplicemente una richiesta di maggiore democrazia da parte degli esponenti intellettuali e dei tecnici del sistema che fosse un ingegnere, che fosse un medico, che fosse uno scienziato. Dico due nomi fra tutti Basaglia o Maccacaro. Ma non si trattava tanto di dire tu ti schieri dalla parte del proletariato, sei al suo servizio, degli operai, tu devi mettere in discussione i paradigmi fondanti della tua stessa scienza che comunque dentro interamente nella scienza borghese. Maccacaro è stato amato e Basaglia è stato amato perché ha messo in discussione i paradigmi fondanti di quella scienza non perché era una psichiatra più democratica di un’altra meno democratica, ma perché era un’altra cosa, altro modo di concepire un sapere, diverso da quello dominante, ma un sapere altrettanto profondo e importante di quello dominante. Ora intendo dire che la crisi poi è che questo è stato prodotto realmente, una cassetta degli attrezzi diversa, affinata attraverso vent’anni di lotte e di intelligenza collettiva … quando si diceva gli operai sono intellettuali collettivi perché fornivano anche a chi era esterno alla classe il sapere dell’organizzazione della fabbrica, quando si diceva i matti possono essere un insegnamento per una scienza presunta o tutte le scienze sono presunte come la psichiatria, o tutte le scienze sono presunte come la sessualità. Quando le donne sono emerse hanno prodotto una crisi terrificante, cioè non si capiva più nulla del rapporto anche all’interno dei gruppi rivoluzionari, quando tutto questo è stato messo in discussione, non voglio citare qui, sennò aprirei un file, però debbo dire che sarei d’accordo se lo motivasse con Violante che Berlinguer ha fatto una cazzata, lui dice un errore necessario, però ha fatto qualcosa che non è chiaro del perché. Io sono assolutamente convinto che la sconfitta della classe, dal più grande tentativo a livello europeo di costituzione materiale della classe, a livello
europeo e forse nel mondo non c’è stata una classe operaia così matura. Ho vissuto tre anni nelle 150 ore, le decine e decine di insegnanti che hanno abbandonato le scuole medie per andare ad insegnare agli operai, non era semplicemente un atto da dottore scalzo maoista era portare un sapere diverso e riceverne un altro altrettanto diverso e trasformare se stessi e la classe contemporaneamente buy cheap kamagra uk. Tutto questo poteva essere inconciliabile con il ciclo capitalistico complessivo, sia a livello nazionale che a livello internazionale.

Io penso che la classe non sia stata sconfitta semplicemente da un errore, ma perché il
capitale aveva capito che la maturità raggiunta dal conflitto capitale-lavoro in quella fase storica era insostenibile per un ulteriore mantenimento di quel modello di compromesso socialdemocratico fordista che aveva assicurato per altro democrazia-sviluppo-redistribuzione
del reddito per tantissimi anni.
Quindi c’è stata sì la repressione, la scelta armata e quant’altro possa essere stato alla fine degli anni Settanta, ma quello che è certo è che il capitale ha mutato pelle, ha fatto a pezzi se stesso, ha agito direttamente sulla composizione di classe scomponendola in mille figure perché quello andava fatto fuori. Non è stato Lama che pure per me soggettivamente vi dico è una figura tragica della storia del movimento sindacale italiano, non sono stati solamente gli errori della Fiat 80 che è altrettanto tragica, non è stato Novelli che non capiva quanto tragico sarebbe stato le decine di operai messi in cassa integrazione a Torino e quanti sarebbero impazziti e quanti si sarebbero suicidati e quanti sarebbero scomparsi nel nulla togliendo l’humus, lievito, cultura, relazione alla società torinese come veniva tolta in moltiplicazione alla società milanese, alla società padovana, alla società mestrina, cioè la classe operaia italiana è una classe operaia che ha fondato la propria egemonia, cioè il modello socialdemocratico qui è stato la grande fabbrica, il partito, lo Stato e su quello ha viaggiato un grande conflitto coi dissensi, con noi estremisti fuori dal partito che cercavano strumenti più sofisticati ancora. Quindi tutto si può leggere in maniera più piana
dopo, ma in quel momento era conflitto, era rabbia, rancore, erano anche errori gravi. Ma negli anni Ottanta tutto questo è stato fatto a pezzi da una rivoluzione capitalistica, la chiamo rivoluzione perché ha avuto la capacità di mutare la propria pelle, il capitale, e noi devo dire siamo rimasti per larga parte molto fermi, molto fermi. Io capisco anche che la storia cambia di segno a motivo dei processi economici e materiali, cambia di segno e quello che prima sembrava a volte rivoluzionario può diventare tranquillamente conservatore e reazionario.
Io sono convinto che quando è nata “Comunione e Liberazione” era un esempio di comunità locale messa al lavoro con l’intenzione precisa nei grandi hinterland del nord del paese Italia. “Comunione e Liberazione” che poi sarà diventata “Compagnia delle Opere” che poi Formigoni, che aveva intuito quel percorso egemonico, e che quando tu prendi milioni di operai e li sposti dalla città, gli inverti il percorso della loro vita da pendolari verso la città al mercato del lavoro nel proprio territorio si formano comunità locali non tanto per appartenenza neocritica, ma su condizione precise, materiali, concrete quotidiane, per questo quello che mi convince devo dire non è un complimento è la prima volta che sento uno di Rifondazione che dice delle cose intelligenti su quest’argomento…. Mi è piaciuto quando dice di riappropriarsi della comunità territoriale come strumento di lotta. È esattamente questo perché il capitale ha disseminato sul territorio la classe, i soggetti, li ha
frantumati in mille figure è difficile la ricomposizione, ma se noi non capiamo questo, non c’è niente da fare, tutta la preoccupazione del partito istituzionale, della sinistra di difendere i lavoratori garantiti salariati per quanto in condizioni di gravi difficoltà non è sufficiente ad assicurare una ripresa del conflitto su percorsi di ricomposizione che sono difficili da immaginare, veramente difficili da immaginare. Ci sono cose orrende che avvengono in questo paese come in tutto il mondo, ma le cose orrende come diceva uno scrittore che noi tutti abbiamo amato, che si chiamava Carlo Emilio Gadda, di cui c’è oggi un paginone intero su Repubblica bellissimo di Pietro Citati … Pietro Citati è un narciso straordinario, di lui si sono occupati periodicamente Dostojevsky, Kafka, Tolstoj: di Citati si sono occupati nel senso che lui sussume a se stesso tutti questi autori e li interpreta in altro modo e per altro verso, però certamente geniale in questa operazione di sussunzione reale dei grandi della letteratura, quindi è travolto da narcisismo terrificante, però dice anche delle cose … per cui voglio dire gli elementi orrendi del Pasticciaccio di Via Merulana del Mussolini eros e priapo che sollecitava tutte le pulsioni più profonde e orrende
dell’Italietta degli anni Trenta, sono lette come una devianza, ma quando ci si dice si legge dei giovani di Verona ammazzano il papà e la mamma per comprare la droga uno si scandalizza, ma sono segni della barbarie, dell’abbandono di un territorio della socialità e della cultura e dell’umanità che è stata abbandonata dalla sinistra perché ha consegnato un intero settore della società … se lo fa il capitale, il capitale produce di per sé un elemento di innovazione, ma anche di barbarie, ma compito della sinistra antagonista è di riportare quel
territorio della barbarie, accettando il terreno dell’innovazione, sul terreno dell’umanità e di una concezione della vita che sia corrispondente, ogni volta abbandonando la nostalgia del percorso precedente. Non si tratta di abbandonare la memoria abbiamo scritto:
“si trattava di sfumare leggermente, con dolcezza, con affettività e progressivamente le tinte della memoria, della nostalgia, dell’appartenenza, del conflitto precedente”. Ridisegnarlo, devo dire morire. I rivoluzionari muoiono frequentemente di se stessi, il
rivoluzionario è una persona incoerente, ha un obiettivo, ma è una persona che cambia, si trasforma in continuazione.

Cosa si fa negli anni Ottanta? Non c’è più nulla nella società di mezzo, quella che ha assicurato il percorso precedente della rappresentanza politica è la società di mezzo. La società di mezzo è andata in pezzi, la società di mezzo è l’orrore, la società di mezzo è altrettanto Casini di quanto non sia Merola. Infatti Casini è dotato quanto Merola, secondo le gazzette.
Lui che vuole la casalinga angelo del focolare ha lo stesso inconscio orrendo di Merola, perché la casalinga è … una violenza, per cui Merola che fa lo stupro che fa queste cose è rivelato, e quindi è un personaggio fatto fuori dalle gazzette, Casini nell’inconscio ha lo stesso immaginario non c’è dubbio, lo si vede quando parla dell’aborto, eppure ha la forma
orrenda legata al giudaico-cristiano più basso, non quello alto, non quello di Padre Turoldo che io ho amato o di Padre Camillo Dal Prà che tutti abbiamo amato, ma quello lì più orrendo, quello che si presenta con la faccia perbene. Formigoni che fa il voto di castità, ma che cazzo fai il voto di castità? Cos’è un movimento fondato sull’onanismo? Ma è insensato… sul sogno e sull’elemento onirico ha senso sognare, sognare, ma non Onan.

Una parte di noi ha scelto: dobbiamo stare nel punto più alto della ricerca contraddittoria, pagati poco, ricercatori sociali, l’agire comunicando e nei punti della ricaduta. Io ho scelto di stare in un centro sociale, di stare nei centri sociali e di lavorare con loro. Eppoi di lavorare in un posto che fa ricerca sociale complessa, dove si lavora tredici ore al giorno e si è pagati malissimo.
Il mio amico Aldo Bonomi scrive regolarmente sul Manifesto, devo dire è uno che paga pochissimo perché pensa che questa acquisizione di saperi sia già di per sé edificante, ciò dà la sopravvivenza, però voglio dire, siccome si lavora mediamente come un lavoratore postfordista tredici ore al giorno all’AASTER quando si va in giro.
Noi abbiamo fatto per esempio tutta l’immigrazione da Trapani, Mazara del Vallo fino a Udine passando per Caserta e Castel Volturno, Villa Literno, Mandragone, Capua anzi lì vicino sulla Domiziana un giorno con Federico, un altro dell’AASTER, abbiamo fermato tre prostitute nigeriane per intervistarle, era d’estate, era luglio nella pineta abbiamo acceso il registratore sono arrivati quattro in macchina con gli occhiali neri come nei film “scusate cosa volete dalle signorine?”. “Volevamo sapere come erano arrivate da queste parti”. “Perché?”. “Perché noi facciamo un’inchiesta” e gli ho fatto vedere , allora era per la legge 31/90 di Martelli sull’immigrazione, gli ho fatto vedere che avevo l’incarico firmato dal ministro Martelli, lui l’ha visto: “Cazzo, dottore mi fa molto piacere, sono molto contento … sa cosa devo fare?”. “Mi dica” io ero già …, mi cagavo sotto, mi ha preso il foglio, me lo ha messo qua dentro e mi ha detto: “lei se ne deve andà“. “Ma si figuri, io rispetto le usanze locali, ci mancherebbe, ho capito, non c’è problema”. E allora
abbandoniamo, andiamo a Mandragone, entriamo in un bar, chiediamo un Martini dry e poco dopo arriva una macchina della polizia, l’ho scritto nel rapporto all’allora ministro Martelli, mi fa: “Chi sono quei ricercatori che girano?”, siccome gli unici a cui l’avevamo detto erano quei due malavitosi dico: “e lei come fa a saperlo?”. Non si preoccupi deve venire alla questura di Caserta. E lì ho capito che c’era qualcosa che non funzionava tra forze dell’ordine, camorra e mafia. Non ci voleva tanto a capirlo, però abbiamo intuito.

Adesso lavoriamo sul nord-est e arrivo alla conclusione. Abbiamo fatto questa ricerca sui centri sociali che ho raccontato oggi alla radio che è nata qua…. Però siamo andati anche
nelle discoteche. Sembra che non vada sul discorso di Ferrero, ma ci vado. Ci sono secondo la SIAE 800.000 giovani che ogni sabato sera tra Novara e Udine in una losanga che comprende quello che noi chiamiamo nord-est che passa sotto Parma, risale da Novara, va su verso Udine e poi sotto Venezia via fino a Mantova ecc. ecc. 800.000 biglietti che vengono staccati nelle discoteche ogni sera, abbiamo lavorato, io in particolare, alcuni mesi girando 20-30 discoteche rischiando la pelle quasi quanto sulla Domiziana con quelli là nel senso che questi ragazzi sostanzialmente si spostano verso le quattro del mattino con le macchine fanno 150 km per andare all’after-hour da una discoteca all’altra. Non ci sono mai salito sulle loro macchine, dico “vi raggiungo fra un’ora”, avrei qualche problema nel viaggiare su quella
strade, però certamente più di mille interviste, più del 65% di questi intervistati aveva un orario medio settimanale di 55 ore, il 30-32% erano lavoratori, salariati, più del 20-22% erano lavoratori con la ritenuta d’acconto. Quello che è bizzarro è che anche quelli che erano lavoratori salariati facevano 55, 60 ore. Ma perché? Perché li obbligava il circuito
produttivo a cui appartenevano, piccola e medie impresa, sennò ti manda via, perché il mercato del lavoro in quei luoghi è familiare, locale, parentale, è stato messo in produzione il bene relazionale. Il bene relazionare diventa una forza produttiva, cioè i rapporti quotidiani, affettivi, parentali, amicali, diventano una forza produttiva. D’altronde non potrebbero non fare quel lavoro. Mediamente ciascuno di loro spende tra le 200 e le 250 mila lire tra il sabato sera e la domenica sera. Quattro sabati sono un milione, hanno una macchina, costerà 5-600.000 lire al mese, 1.600.000, se non guadagnano tre milioni non ci
stanno dentro. Eppure questi cercano socialità, più del 48% dichiara di consumare extacy, una droga postfordista, cioè una droga che immediatamente ti dà una botta di energia, ti porta dentro uno stato di possibile comunicazione, ma dopo che tu stai a Montebelluno, in provincia di Treviso, in provincia di Mantova a Castel Goffredo, hai lavorato 55 ore con ritmi infernali perché il tuo padrone dice – se è bresciano – “potta io c’ho just in time”, tu devi capire ‘sto just in time, ma cos’è ‘sto just in time? Io devo fare questa consegna, siamo nella stessa barca, se tu non fai questo io non ci sto, non ci sto dentro. Allora lui lavora e oltretutto va a tre [interruzione] su questo possiamo chiudere.

Sarò breve e serio questa volta. Io penso che noi abbiamo a che fare con un problema che ha tormentato le grandi intelligenze, piccole e grandi, della rivoluzione industriale, dalla rivoluzione francese ad oggi. È il disagio della modernità. Noi affrontiamo una nuova modernità e il disagio della nuova modernità va individuato, per quello che ha come senso e come risorsa. Voglio dire che l’elemento distruttivo della modernità è una categoria specifica, ne hanno scritto talmente tanto che non starò qui ad approfondire. Ma non si tratta di essere dei fanatici o dei tifosi dell’innovazione, si tratta di constatare che è un processo profondo, materiale, inesorabile, inevitabile con cui fare confronti.
Abbiamo scritto, abbiamo piccolo organismo a Milano che si chiama LUHMI, è un jeu de mots, un gioco di parole direbbe il mio amico Oreste Scalzone perché LUHMI sta a lumi, ma vuol dire Libera Università di Milano e Hinterland, ma l’hinterland non è ovviamente Sesto San
Giovanni, ma è Francoforte, Amburgo, può essere Pescara. Gli hinterland di un luogo di ricerca di saperi sono tutti gli altri luoghi di ricerca di saperi sparsi per il mondo, collegati tra loro. Si può sognare, come è stato ipotizzato qualche volta nell’intervento di Ferrero, una Federazione di cento e cento luoghi inquieti e diversi dentro una transizione, verso una ricomposizione, ma prima devi individuare i cento e cento luoghi della diversità, dell’appartenenza, dei territori, delle comunità che sono stati prodotti da un processo profondo, rivoluzionario del nostro avversario di classe che è intelligente, molto molto
intelligente, che è il capitale.
Qualche anno fa l’ex-direttore del Sole 24 Ore, che si chiama Deaglio, non il Deaglio scemo, quello che viene da Lotta Continua, quello che ha lavorato con i capitalisti e dirigeva il Sole 24 Ore, ha scritto un libro La nuova borghesia e la sfida del capitalismo in cui citava frequentemente Marx. Non a caso lui, che poi adesso lavora con La Stampa mi pare. Lì
c’era dentro un’intuizione: se si forma una nuova borghesia, forse non è una nuova borghesia, certamente è una proliferazione di soggetti sociali, produttivi che hanno intenzione di difendere vantaggi, modelli di vita, rapporti di produzione, confronti con il mercato internazionale, col locale, col globale, o con pessimo neologismo glocale, il mercato è
globale, ma la produzione è locale, fatta di comunità parallele. Il capitale ha messo in produzione il territorio, lì si formano i soggetti. La città a volte viene depotenziata dal ruolo precedente, la metropoli. Fa sognare.
Noi, dico noi centri sociali milanesi, siamo sfilati il 23 dicembre dopo che era stata fatta a pezzi una parte del Leoncavallo, in 20.000 forse in 30.000, alla vigilia di Natale (il 23 dicembre ’95) in una città deserta.
Credo che i negozianti milanesi abbiano perso svariati miliardi in quel giorno, non c’era un solo negozio aperto da Corso Buenos Aires a San Vittore, un percorso lunghissimo per chi conosce Milano. Eppure eravamo in 20-30 mila, non tantissimi. La voglia, nelle riunioni
preparatorie, di menare la mani, di mettere a ferro e fuoco la città, di sognare Gianfranco Manfredi nel ’77 che diceva dopo il Parco Lambro: “sta nei sogni dei teppisti, nell’incendio di Milano, nelle pietre sui gipponi, nelle spranghe sui fascisti, nella casa sempre aperta”, era forte, e l’amministrazione vi assicuro l’ho detto anche a quel demente del nuovo questore di Milano.
Gli ho detto, guardi questore che noi questa volta scendiamo giù in 20-30 mila, e tanti eravamo e saremo totalmente autodifesi, perfettamente attrezzati per un’autodifesa. Sappiamo che militarmente perdiamo, ma perché non dovremmo giocarci in una giornata simbolica che rimane incisa nella nostra memoria, un pezzo di storia soggettiva, invece abbiamo fatto appello a una presunta esistenza di una parte democratica milanese per una manifestazione che si è rivelata una trappola infernale per la questura di Milano, perché tutta la Digos è stata
fatta fuori, fatta dimettere. Abbiamo vinto una battaglia a metà tra istituzione e movimento. Sapete che culo mi hanno fatto, io che ero responsabile di manifestazione davanti con il vice-questore. “Cosa succede?”, ogni volta che partiva un raudo. “Non succede nulla, è roba
da stadio, qualche ferito, qualche vetrina rotta”. “Non c’è problema, basta che non attaccate le macchine della polizia, perché dopo il ministero ci fa il culo a noi”. Abbiamo sfilato in una città deserta, in San Babila, in Corso Europa, nel cuore produttivo, commerciale della
rappresentanza. Ed era angosciante perché non c’era nessuno, tutti i negozi erano chiusi. Forse abbiamo cannato? No! Abbiamo dato una dimostrazione di maturità verso un altro percorso. Siamo soggetto politico esterno, noi non siamo in un partito, vogliamo comunicare,
essere in ascolto.
Vogliamo essere in ascolto con Rifondazione, con il Manifesto. Il Manifesto è un luogo, è un po’ come un grande centro sociale che c’è a Ginevra che si chiama Usine. È un centro sociale come la Rote Fabrik di Zurigo, un centro sociale che è stato legalizzato, tutti gli antagonisti intorno gli fanno un culo tremendo, bastardi vi siete venduti però in realtà loro assicurano a tutti gli altri nella città la rappresentanza. E quando abbiamo fatto il convegno a Zurigo che c’erano tutti questi svizzeri, vi dico i centri sociali svizzeri sono di una bellezza stupefacente, sono bellissimi, organizzati come un orologio svizzero, c’è
anche un meccanismo dell’omega che li fa funzionare. Però, è stato riconosciuto che loro pur avendo in qualche modo fatto una trattativa, assicurano uno spazio. Il Manifesto è questo dal nostro punto di vista, assicura uno spazio, un luogo della rappresentanza, poi gli facciamo
mille critiche, ma se non ci fosse bisognerebbe inventarlo. Abbiamo fondato questa università che è una delle tante cose che facciamo, perché bisogna provare e riprovare cento volte. I disagi della modernità sono la perdita della socialità, la perdita d’identità […]
La terza sono ancora le overdose, la quarta sono i tumori, ma la quinta sono i suicidi. Allora c’è un problema di vuoto che si è formato, così è il disagio della modernità: l’esaurirsi dei luoghi dell’esperienza. Cos’erano i luoghi dell’esperienza? Era il mondo del lavoro e il mondo della politica. Lì era il luogo dell’esperienza. Era il conflitto con la famiglia, certo ma subito dopo c’era lo spazio pubblico, cioè l’impegno politico e il
lavoro che restituiva dignità, classe, appartenenza. Ma se invece il lavoro viene depotenziato e il lavoro desalarizzato la grande massa dei lavoratori desalarizzati non garantiti libera energie, ma nel contempo toglie diritti, toglie identità, toglie appartenenza, toglie il luogo dell’esperienza.
I luoghi dell’esperienza sono sul territorio, non sono in un’astrazione dell’appartenenza generale ad un progetto che un giorno si avvererà, sono qui ed oggi, e davanti e presenti, e qui per cui questo sogno di cento luoghi diversi che si legano fra di loro, inquieti, non certi, non precisi, ma costantemente in cerca di, e che cominciano a ragionare come se fosse possibile.
Abbiamo portato in mezza Italia questo libro di Christian Marazzi, che si chiama Il posto dei calzini e lui dice: “no, non è che è vero”, ma neppure Marco Revelli, che da noi è molto amato e anche da altri, dice che è vero che l’impresa sociale, il terzo settore, il contrapporre socialità al terreno della politica sia già un elemento del programma e del progetto. Ma se uno non comincia a ragionare come se fosse possibile quello, e quindi abbandona i paradigmi precedenti.
Diciamo: come creare le premesse per sistemi di mutua assistenza, di solidarietà nuova dentro il nuovo processo, da adeguare a un tessuto normativo arretrato, giuridico o comunque insufficiente a giustificarlo, non solo dello Stato, ma dell’organizzazione sindacale o di partito, al di là degli aspetti giuridici giusto come dice Ferrero. Ragionare “come se” vuol dire abbandonare le appartenenze precedenti che sono semplici, eroiche e conosciute e avventurarsi su quel terreno. Vuol dire fare rete, ma siccome il capitale fa rete costantemente, nello scambio tra locale e globale, fare rete vuol dire conoscersi. Quando si dice federalismo, localismo… lo si può fare con un progetto rivoluzionario. Occorre che
tutti si conoscano in questa rete all’interno di una diversità inquieta che è comunicazione per un progetto che sottende la ricomposizione, e può avvenire tramite uno spazio che è un giornale, uno spazio che è un partito se quel partito dà spazio, non ce ne frega un cazzo se è il partito, voglio dire se il partito dà spazio è un elemento della rappresentanza dentro le istituzioni che vanno fatte comunque perché non si può fare la modifica dello stato.
Se alcune regioni si considerano autonome perché sono più avanti e devono sopravvivere per moltiplicazione della cooperazione capitalistica delle comunità locali con un riferimento più preciso a delle macro-regioni che non sono state codificate ancorché progettate, ma che esistono nei fatti come processo materiale, va bene su quel terreno dell’inquietudine della modernità che a perdere la sicurezza di sé precedente, si può costruire anche il rischio della morte di sé, ma però per una ricomposizione. Ma prima c’è la conoscenza, l’abbandono dagli stereotipi precedenti, senza quello non succede assolutamente nulla.

1 comment to Primo Moroni si raccontava così…

  • secondo me in questo parlato tra l’altro carino, dove voleva descrivere l’universo, giustamente ci si è perso dentro.
    In fondo più che un grande intelletuale, mi sembra un viaggiatore, uno di quei “turisti” curiosi munito di moleskine, in cui con meticolosità ci ha riversato le sue senzazioni .
    A volte qualche certezza ci vuole, di quelle basilari per andare per il mondo degli uomini, tipo quelle di Marcuse, ma gli occidentali si sa, amano dannatamente il caos.
    Per il resto condivido le aperture, e l’essere sostanzialmente contro ogni forma di determinismo, che per la mia storia sono la cosa + naturale che ci sia .
    è un mio pensiero, tra l’altro sono pure ignorante abbastanza .

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