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Archivi

Katyn

Nell’ottantesimo del massacro di Katyn leggo cosa ne scrive J. Arch.Getty, uno storico americano accusato di essere un “revisionista” perchè ha smentito molti luoghi comuni e cifre della storiografia anticomunista della guerra fredda. E’ uno che ha recensito negativamente il famoso Libro nero del comunismo e forse per questo nessuno dei suoi libri è stato tradotto in Italia.

In una presentazione dell’archivio delle carte di Stalin, ora finalmente disponibile per gli storici Getty scrive:

“Quando nel 1940 Stalin e il Politburo decisero di fucilare a Katyn più di 20.000 ufficiali polacchi catturati, registrarono le loro decisioni in memo e risoluzioni, complete di giustificazioni”.

Insomma negli archivi sono oggi disponibili le prove. Sono probabilmente quelle che esaminarono Gorbaciov e i suoi collaboratori quando nel 1990 ammisero la responsabilità del NKDV:

“Beria, Merkulov e i loro aiutanti hanno la responsabilità diretta dei crimini nella foresta di Katyn. La parte sovietica, esprimendo profondo rammarico in relazione alla tragedia di Katyn, dichiara che essa ha costituito uno dei crimini più gravi dello stalinismo” – Dichiarazione sull’agenzia TASS del 13 aprile 1990.

Il fatto che oggi la destra nazionalista polacca faccia un uso politico del massacro di Katyn non dovrebbe indurre a negare le evidenze storiche. Francamente ho cercato in rete scritti di noti negazionisti e non mi pare che contengano argomenti in grado di smentire quanto emerso nel corso degli anni.

La verità è sempre rivoluzionaria, insegnava Gramsci.

Se il nazionalismo polacco e quello russo si confrontano con opposti negazionismi penso che i comunisti e i socialisti del XXI secolo debbano rifiutare qualsiasi approccio di questo genere.

A. Rudzienski

Massacro di Katyn

Una tragedia che sanguina

(23 giugno 1947)

Articolo pubblicato negli USA su Labor Action, giornale del trotzikista Workers Party. L’autore era un polacco emigrato in America Latina che quando scriveva su quel continente si firmava Juan Rey o Juan Robles.

Esiste una conoscenza diffusa dell’assassinio di 23.000 prigionieri di guerra, soldati e ufficiali polacchi, “liquidati” nel classico modo GPU (un colpo alla nuca) nei campi di Kozielsk, Starobielsk e Katyn. Quando venne scoperto l’assassinio in massa di queste vittime innocenti, il governo russo negò categoricamente, sfruttando l’occasione per rompere i rapporti con il governo polacco in esilio a Londra. Gli stalinisti – Molotov, Beria, ecc. – negarono l’assassinio, attribuendone la responsabilità ai tedeschi. Ma l’organo di Marceau Pivert, The Masses , nel suo numero di febbraio-marzo 1947, rivela che l’assistente capo della GPU (NKVD) Merkulov, disse al generale fantoccio polacco, Berling, che guidava l’esercito stalinista-polacco, che i 23.000 prigionieri di guerra “era stato liquidato per errore ”. Un errore deciso freddamente e deliberatamente. Un errore che accusa e continuerà ad accusare il regime di Stalin fino alla sua miserabile fine. Quante centinaia di migliaia, quanti milioni di russi, ucraini, ebrei e tedeschi sono stati liquidati allo stesso modo di questi prigionieri di guerra polacchi? Non lo sappiamo perché nessuna voce si è levata in segno di protesta.

La tragedia di Katyn è stata il destino dell’intera clandestinità polacca. L’insurrezione di Varsavia fu consegnata a sangue freddo ai nazisti in modo che alla polizia stalinista potesse essere risparmiato il posto di boia. Quando le armate dell’invasore russo occuparono le rovine di quella terra desolata che fu la capitale di una nazione, le squadre mobili della GPU iniziarono la loro opera di persecuzione contro quella clandestinità che per tanti anni aveva combattuto tenacemente i nazisti. Con l’esercito di Stalin, gli agenti, le spie, i persecutori e gli assassini della GPU sono stati i primi ad entrare nelle città, paesi e villaggi occupati. Il loro lavoro era stato tracciato dalle spie del partito stalinista, che da tempo avevano stilato le liste nere dei militanti e dei dirigenti della Resistenza polacca.

Il numero dei prigionieri politici ha raggiunto le centinaia di migliaia. Il boia Radkiewicz, capo della “Sicurezza”, ha ammesso la cifra di 80.000 prigionieri politici in un Paese di 24 milioni di abitanti. Centinaia di migliaia di persone sono state segretamente deportate nei campi di lavoro forzato in Russia in assenza di qualsiasi controllo da parte dei tribunali o delle normali procedure legali. Solo coloro che si unirono ai gruppi armati illegali riuscirono a salvarsi dalle grinfie della polizia stalinista. La resistenza polacca fu spazzata via su due fronti, consegnata e sacrificata dagli “alleati occidentali” a Stalin per rispettare gli accordi imperialisti di Yalta e Potsdam. Così la Polonia cadde soggetta al dominio del conquistatore russo.

Eppure esistevano ancora resti della resistenza e dell’indipendenza polacca fuori dal paese, nell’esercito polacco comandato da Anders, e nel governo polacco in esilio, basato su una coalizione di quattro partiti (nazionalisti, cristiani, contadini e socialisti), il fantasma di un Polonia indipendente che ha inseguito il sogno di Stalin, erede delle politiche imperialiste dello Zar. Il Cremlino ha mobilitato tutti i suoi mezzi di propaganda, tutti i suoi lacchè e servitori per presentare il governo del riformista Arciszewski (vecchio combattente contro lo zar, e lui stesso operaio), come un governo “fascista”; e l’esercito polacco che ha combattuto su tutti i fronti contro i nazisti, dalla Norvegia all’Africa e all’Italia, che ha combattuto in Olanda, Belgio e Francia, come “ condottiero fascista “.

So, cari lettori, che tocco un tema “pericoloso” e poco gratificante, perché la sinistra ha ancora l’abitudine di vedere questi eventi attraverso gli occhiali della propaganda stalinista. Tuttavia, non posso astenermi dall’affrontare questo problema. Nella sua grande maggioranza, l’esercito polacco di Ander è composto da quelli deportati da Stalin dopo l’invasione russa della Polonia nel 1939. Questi ostaggi e prigionieri politici, condannati a morte nei campi di lavoro forzato di Stalin, sono principalmente gli umili operai e contadini polacchi, così come gli intellettuali, della Polonia orientale, che non sarebbero mai usciti se non fosse stato per la pressante necessità di Stalin, dopo l’invasione tedesca del 1941, di firmare nel 1942 un patto polacco-russo, per assicurare l’alleanza di Polonia e Inghilterra .

L’avanguardia di questi uomini è composta dai militanti del Partito Socialista Polacco (FPS), dei sindacati e del Partito Contadino, nonché da molti ex comunisti che sono stati di regola condannati ai lavori forzati dalla GPU. Un’altra sezione importante è costituita dai soldati ebrei, molti ex membri del Bund e di altri partiti ebraici, oltre a un’alta percentuale di ucraini e russi bianchi, cittadini polacchi entrati nell’esercito polacco per sfuggire all’inferno stalinista e tornare in le loro case e la terra perduta. Il resto è composto da Pomerania e Slesia polacchi, pressati nell’esercito tedesco, e dai polacchi deportati, per i lavori forzati in Germania e nell’Europa occidentale, che la stampa stalinista stigmatizza come “ Volksdeutsche” (tedeschi convertiti); infine, ci sono; i minatori polacchi di Francia e Belgio e gli emigranti del Sud America, degli Stati Uniti e del Canada.

L’esistenza di un esercito polacco in Inghilterra e di un’emigrazione politicamente organizzata costituisce un grave pericolo per l’autocrazia russa. La storia insegna a Stalin che la grande corrente dell’emigrazione polacca in Inghilterra e in Francia dopo la rivoluzione del 1831 si trasformò in un centro di opposizione rivoluzionaria allo zarismo e alla reazione europea, divenne una fonte creativa della cultura polacca e della resistenza politica. Anche se l’odierna emigrazione non possiede né tali condizioni né la loro possibilità, Stalin si sforza comunque di annientare ogni possibile opposizione politica polacca al di fuori della Polonia, fiducioso che col tempo la GPU vincerà ogni opposizione all’interno. Ecco il motivo delle sue continue e costanti pressioni sul governo laburista di Londra perché consegni i “resti anacronistici” dell’indipendenza polacca.

Un inedito di Rosa Luxemburg

In Italia non ci ha pensato nessuna casa editrice finora ma in lingua inglese stanno pubblicando le Opere Complete di Rosa Luxemburg curate da Peter Hudis. Speriamo che poi ne arrivi un’edizione italiana. Lenin in persona consigliò che fossero pubblicate e lette dalle generazioni successive di militanti. Pubblico la traduzione di questo articolo che lo stesso Hudis ha anticipato sul sito della casa editrice Verso Books e che sarà contenuto nel quarto volume delle Opere (1905-1909).  Si tratta di un inedito, “Critica nel movimento operaio”, originariamente pubblicato in polacco in Czerwony Sztandar, n. 39. 9 gennaio 1906, pagg. 1-2.

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«Batti il tuo tempo». Il rap dà la linea

Pubblico da Alias, l’inserto del manifesto, questo estratto da un libro di Militant A di Assalti Frontali. Tra quelli della mia generazione è uno dei compagni che stimo di più. Quel giorno che Onda Rossa Posse fece irruzione sul palco della pantera a Piazza del Popolo fu una figata per me che da anni mixavo militanza e consolle, movimento e dancehall popolari. Fa piacere incrociare Luca praticamente in ogni manifestazione e vedere come ha sviluppato il suo progetto musicale e poetico. E mi associo al suo ricordo di Lapassade che fu nostro ospite a Pescara al Base con Sensibili alle Foglie e che mi fa tornare in mente gli amici fraterni del Sud Sound System originale Antonio D War e Militant P oltre che Renato e Marita, persone stupende. 

«Tu vai in trance quando rappi» mi diceva George Lapassade il giorno che arrivò alla Sapienza occupata dalla Pantera e mi vide cantare all’interno della facoltà di Lettere. Lui era un professore emerito di etnologia e scienze dell’educazione all’università di Parigi, uno dei più grandi esperti di stati modificati di coscienza e primi linguaggi hip hop ed era venuto a Roma a vedere che succedeva nel movimento, quali espressioni culturali e linguaggi usavamo, e noi, da irruenti e anche arroganti (come lo sono tutti i giovani ribelli) lo tenevamo un po’ a distanza, sperando che se ne andasse il prima possibile e ci lasciasse liberi di muoverci senza sentirci analizzati, non capivamo se fosse davvero dei nostri: era un professore, aveva i capelli bianchi, che ne sapeva di rap? Che voleva? Noi stavamo già volando con l’Onda Rossa Posse. Con Batti il tuo tempo. Il primo rap con il testo in italiano. Quando la cantavamo tutti impazzivano. La Pantera era al top, il corridoio pieno, centinaia di studenti andavano e venivano mentre lui mi parlava, io con la mente pensavo anche a dove avessi lasciato il sacco a pelo, inseguivo con gli occhi il mio amore che entrava in un’aula dove suonava musica reggae e tutti sembravano felici. Avevamo trasformato quella facoltà in un centro sociale.
Io in realtà ero iscritto a Economia e Commercio ma era troppo moscia quella facoltà e anche mezza nera, per cui facevo base a Lettere o Scienze Politiche. All’inizio non si potevano fare nemmeno le scritte sui muri, era stato votato in assemblea come gesto di responsabilità, ma la nostra banda aveva delle ragazze che facevano i graffiti come nessuno prima e davanti a quei capolavori d’arte a cielo aperto anche i più rigidi si erano arresi.

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Andy Weatherall RIP

Leggo che Andy Weatherall a soli 56 anni è partito per l’ultimo viaggio. Quando mettevo i dischi era un’ospite fisso negli anni ’90. Da quel che ricordo almeno dal fatidico 1990 (quello della pantera). E vale lo stesso per la regia automatica di Radio Città che ho curato per tanti anni mettendoci dentro di tutto di più. Loaded dei Primal Scream era in perfetta sintonia con la mia vocazione al ritmo trusciante e alla psichedelia. Leggo uno dei necrologi e mi ci ritrovo (per l’attitudine ovviamente. io ero solo uno zappatore): “La mia cosa preferita di Andrew Weatherall era la sua capacità di vedere i fili tra dischi, generi, decenni, continenti selvaggiamente diversi che avrebbero avuto un senso totale quando li avrebbe riuniti tutti insieme in un set o in un programma radiofonico. DJ come storytelling, con tutti invitati”. Non ho mai amato le monomanie. E soprattutto ho sempre cercato di mixare suoni e ritmi di tempi diversi senza badare alle mode e alle barriere tra i generi e i sottogeneri. Con un forte amore per i sixties. Loaded era come se l’avessimo remixato in testa io e Pablo Sax ovviamente con Molecola ai controlli. C’era tutto. La voce che apriva il disco era quella di Peter Fonda in The Wild Angels di Roger Corman, praticamente una celebrazione:

Alla domanda del reverendo

“Just what is it that you want to do?/ Che cosa volete fare?”

Fonda risponde

WE WANT TO BE FREE
WE WANT TO BE FREE TO DO WHAT WE WANT TO DO
AND WE WANT TO GET LOADED
AND WE WANT TO HAVE A GOOD TIME
THAT’S WHAT WE’RE GOING TO DO
(NO WAY, BABY, LET’S GO!)
WE’RE GOING TO HAVE A GOOD TIME
WE’RE GOING TO HAVE A PARTY

Vogliamo essere liberi / Vogliamo essere liberi di fare ciò che vogliamo fare / E vogliamo ubriacarci (?) / E vogliamo divertirci / Questo è quello che faremo (Assolutamente no, piccola, andiamo!) / Ci divertiremo / Faremo una festa Continue reading Andy Weatherall RIP

Tariq Ali: Sulle contraddizioni di Mao (2010)

Due anni fa un compagno fu scandalizzato dal fatto che avessi citato Mao durante un dibattito in una nostra festa. La mostrificazione di Mao è una delle operazioni di revisionismo storico più riuscite dell’ultimo trentennio ed è entrata nell’immaginario di gran parte dell’opinione pubblica progressista. Siamo passati dall’esaltazione acritica ed eccessiva degli anni ’60-’70 alla demonizzazione più totale.

Da riferimento mitico dei movimenti giovanili di tutto il mondo Mao è diventato un simbolo degli orrori del Novecento. Insomma dal paradiso della canzone di Alberto Camerini del 1977 all’inferno. Uno dei veicoli di questa operazione è stato il bestseller di Jung Chang e Jon Halliday “Mao:la storia sconosciuta” che presenta Mao come un “mostro”peggiore di Hitler e Stalin e che sulla grande stampa e nelle librerie ha trovato grande accoglienza. Un successo non contrastato nel nostro paese dove sono passate inosservate le recensioni critiche degli storici a livello internazionale. Se ne trova una sintetica ma efficace recensione critica di Marina Miranda sul sito della Società Italiana per lo studio della storia contemporanea. Ne segnalo qualcuna di storici della Cina anglosassoni come Jonathan Fenby, Jonathan Spence, Andrew Nathan. David S.G Goodman sulla Pacific Review ha paragonato il libro di Chang e Halliday al Codice Da Vinci (evidentemente non conosceva la produzione di Giampaolo Pansa). Una raccolta di interventi pesantemente critici di accademici è uscita nel 2010 “Was Mao Really a Monster?: The Academic Response to Chang and Halliday“, ma non risulta tradotta per il pubblico italiano che continua ad abbeverarsi al libro di Jung Chang e Jon Halliday. Va in controtendenza il relativo successo negli ultimi anni del filosofo maoista francese Alain Badiou che ha continuato a difendere Mao e la Rivoluzione Culturale che in una lettera a Slavoj Zizek scrive: “Mi sembra che, andando a vedere nel dettaglio, tu non sia sempre del tutto slegato dall’immagine insieme folcloristica e ripugnante che il nostro caro Occidente, effettivamente appoggiato, se non addirittura manipolato dallo Stato cinese (in mano, ricordiamolo, ai revanscisti della Rivoluzione Culturale, diventati signori corrotti dell’accumulazione capitalista), intende fornire dell’ultimo grande rivoluzionario marxista della storia mondiale”.

Tariq Ali, intellettuale anglo-pakistano già tra i leader del ’68 e noto anche per una celebre intervista in cui John Lennon esplicitò le sue opinioni di sinistra radicale, definisce il libro di Chang e Halliday una “soap-opera” nella recensione della biografia di Mao scritta da Rebecca Karl, “Mao Zedong and China in the Twentieth-Century World” uscita nel 2010.  La raccolta di saggi e la biografia della Karl non sono ancora stati tradotti per il pubblico italiano. L’anticomunismo che è dilagato dopo il 1989 nel nostro paese è davvero egemone. Ho tradotto l’articolo di Tariq Ali, uscito sulla New Left Review 10 anni fa, intitolato Le contraddizioni di Mao. Un titolo che sarebbe piaciuto a Edoarda Masi a giudicare da quel che diceva di Mao in questa conversazione del 2004. Buona lettura!

L’emergere della Cina come potenza economica mondiale ha spostato il centro del mercato globale verso oriente. I tassi di crescita della Repubblica Popolare Cinese suscitano l’invidia delle élite ovunque, le sue merci circolano anche nei più piccoli mercati di strada andini, i suoi leader sono corteggiati da governi forti e deboli. Questi sviluppi hanno innescato discussioni senza fine sul paese e sul suo futuro. I media mainstream si preoccupano essenzialmente della misura in cui Pechino soddisfa le esigenze economiche di Washington, mentre i think-tank temono che prima o poi la Cina costituirà  una sfida sistematica alla saggezza politica dell’Occidente. Il dibattito accademico, nel frattempo, di solito si concentra sulla natura esatta e sulla meccanica del capitalismo contemporaneo in Cina. Gli ottimisti dell’intelletto sostengono che la sua essenza è determinata dalla continua presa sul potere del PCC, vedono la svolta pro-mercato della Cina come una versione della Nuova Politica Economica (NEP) dei bolscevichi; in momenti più deliranti, sostengono che i leader cinesi useranno la loro nuova forza economica per costruire un socialismo più puro di qualsiasi altro tentativo precedente, basato sul corretto sviluppo delle forze produttive e non sulle comuni povere del passato. Altri, al contrario, sostengono che un nome più accurato per il partito al potere non richiederebbe nemmeno un cambio di iniziali: comunista viene facilmente sostituito con capitalista. Una terza visione insiste sul fatto che il futuro cinese semplicemente non è prevedibile; è troppo presto per prevederlo con certezza.

Nel frattempo infuriano anche i dibattiti sul passato rivoluzionario del Paese. La Cina non è stata esonerata dalla tendenza più ampia che ha accompagnato la vittoria globale del sistema americano, nella quale le storie sono state riscritte, il monarchismo e la religione visti di nuovo in una luce positiva e qualsiasi idea di cambiamento radicale è stata spazzata via. Mao Zedong è stato al centro di questo processo. Continue reading Tariq Ali: Sulle contraddizioni di Mao (2010)